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Papa a Torino, il pranzo con i giovani detenuti

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È venuta direttamente dal Vaticano la proposta di un pranzo in Arcivescovado con i giovani detenuti del Ferrante Aporti, il carcere di Torino in cui Don Bosco ebbe l’intuizione del “sistema preventivo salesiano.” Una mediazione necessaria, per permettere al Papa di portare a termine il suo intenso programma della giornata e per permettergli di incontrare i carcerati, racconta ad ACIStampa don Domenico Ricca, salesiano, da 35 anni cappellano del Carcere.

“Ho incontrato il Papa due anni fa, e gli ho subito parlato di una sua possibile visita ai giovani detenuti del Ferrante Aporti. Avevo visto che era andato nel carcere minorile di Casal del Marmo nell suo primo Giovedì Santo da Papa, speravo potesse venire da noi,” racconta don Ricca, che tutti chiamano don Mecu.

Don Ricca ci teneva che i suoi ragazzi potessero avere la possibilità di vedere il Papa. Ma “fino all’ultimo ho temuto che non potesse andare in porto. Il programma della giornata era intenso, se il Papa si fosse spostato anche al Ferrante Aporti sarebbe stato impossibile per lui fare tutti gli spostamenti. Poi, dal Vaticano è arrivata la proposta del pranzo in arcivescovado. Perché il Papa ci teneva davvero ad incontrare i detenuti,” racconta don Ricca.

Che poi spiega: “Papa Francesco ci tiene molto a queste cose simboliche, a mostrare una vicinanza. Magari un pranzo è considerata una cosa piccola, ma in realtà ha un forte valore simbolico, specialmente per i giovani carcerati, che non si aspettavano di certo una sorpresa simile.”

Sono stati così 11 i ragazzi che sono usciti dal carcere per andare a pranzo con il Papa in arcivescovado, di un’età compresa tra i 17 e i 21 anni. Insieme a loro, a pranzo, anche alcune famiglie disagiate, tra cui una famiglia rom. In totale, spiega padre Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, circa 35 persone.

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Non è la prima volta che escono dal carcere minorile, alcuni – racconta don Mecu – stanno uscendo anche in questi giorni, per fare gli esami di maturità. Ma ovvio che “l’uscita per pranzare con il Papa è una uscita tutta particolare.”

“Tutto si è svolto in circa un’ora. Il Papa è arrivato in anticipo, intorno alle 12.40 ed è andato via poco prima delle 14,” racconta don Ricca. E poi aggiunge dettagli: “Quando il Papa è entrato in arcivescovado, abbiamo avuto modo di incontrarlo subito. Eravamo un gruppo composto dalla direzione del carcere, il personale e il sottoscritto, e io ho avuto modo di regalargli un libro.”

Poi, il Papa è salito con l’arcivescovo Cesare Nosiglia nella sala adibita per il pranzo, e ha consumato con loro il pranzo, mentre don Ricca è “rimasto un po’ di tempo tra dentro e fuori, un momento di qua e un momento di là,” anche per non interrompere il momento.”

“I ragazzi erano contenti hanno mangiato bene, sono arrivato al dolce, li ho visti spiluccare la frutta con avidità. Erano anche un po’ attoniti. Alla fine quando siamo usciti sulla terrazza a fare la foto finale non finivano di ringraziarmi.”

All’inizio, i ragazzi erano senza parole, poi “poco a poco si sono sciolti, hanno fatto molte domande al Papa, si scambiavano bigliettini con domande o con richieste da fare. Hanno chiesto al Papa di intercere per amnistia o indulto per loro, e Papa Francesco mi ha detto ridendo: ‘Spiega lei loro come funziona’.”

Il Papa ha ricevuto doni dai ragazzi, e in cambio ha firmato alcune foto (“quella in cui compare con il dito alzato a fare ok”) da inviare ai ragazzi che erano rimasti in carcere.

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Così, don Ricca ha visto realizzarsi uno dei suoi sogni, per cui lui “trepidava molto.”

“Sono 35 anni che sono cappellano del carcere, e ho scritto un libro, ‘Il Carcere come un cortile’, che rende l’idea di come ho costruito la mia presenza in carcere. E cioè, stando attento ai tempi. Perché le cose che si fanno adesso, 30 anni fa erano impensabili.”

Così, ha aspettato poco a poco che i tempi fossero maturi. Non c’era una cappella in carcere, ma ora c’è, è la Cappella del Buon Pastore, e lì nel giorno di Pentecoste del 2014 c’è stato battesimo di un giovane detenuto. 

E poi, il 2 febbraio 2015 è stata posta nel cortile del carcere una statua di don Bosco, opera dell’artista di Aldo Pellegrino: un altro piccolo successo di don Ricca. E così Don Bosco ritorna nel Carcere, che ai suoi tempi era chiamato “La Generala.”

Lì, osservando i ragazzi, si chiese come sarebbe stato se questi avessero avuto un amico fuori dal carcere, un amico che ne sapesse indirizzare la vita. Nacque così il metodo preventivo di don Bosco, basato sull’idea di formare prima i ragazzi invece di cercare di recuperarli dopo.

Anche il fatto che don Ricca abbia fatto uscire i ragazzi ricalca le orme di Don Bosco. Nel 1855, Don Bosco propose alla direzione del carcere di portare i ragazzi fuori, ad una scampagnata. La direzione si opponeva, era convinta che i ragazzi avrebbero tentato la fuga. Don Bosco disse che se uno solo non sarebbe tornato, sarebbe andato in carcere lui stesso al posto del giovane assente. La direzione accettò. Tutti tornarono in cella puntualmente.