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Papa Francescco: "La luce della Resurrezione toglie alla morte il suo pungiglione"

Papa Francesco | Papa Francesco, udienza generale, maggio 2015 | Daniel Ibañez / ACI Group Papa Francesco | Papa Francesco, udienza generale, maggio 2015 | Daniel Ibañez / ACI Group

Parte dal brano evangelico della vedova di Naim, Papa Francesco, per parlare del lutto in famiglia Un “dolore che annienta,” sottolinea il Santo Padre nell’udienza generale, perché “la perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiottisce il passato e anche il futuro.” Ma la morte “non ha l’ultima parola,” e nella luce della Resurrezione “noi possiamo togliere alla morte il suo pungiglione.”

Papa Francesco continua il ciclo di catechesi dedicato alla famiglia, e in una piazza San Pietro assolata affronta questa volta il tema del lutto. Punto di partenza è la storia della vedova di Naim, che piange suo figlio morto, e che Gesù riporta alla vita restituendolo alla madre.

Una “scena molto commovente,” afferma Papa Francesco – “che ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre – in questo caso una vedova che ha perso l’unico figlio – e ci mostra anche la potenza di Gesù sulla morte.”

Papa Francesco sottolinea che la morte può apparire naturale, riguarda tutte le famiglie, eppure “quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale.”

Dice il Papa: “Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro”.

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Questo dolore il Papa sperimenta continuamente, perché “tante volte vengono a messa a Santa Marta genitori con la foto di un figlio, di una figlia, bambino, ragazzo, ragazza, e mi dicono: ‘Se n’è andata”. E lo sguardo è tanto addolorato. La morte tocca e quando è un figlio tocca profondamente”.

Una sofferenza simile hanno i bambini che restano soli, per la perdita di un genitore o di entrambi. Il bambino – racconta il Papa – “rimane solo. Il vuoto dell’abbandono che si apre dentro di lui è tanto più angosciante per il fatto che non ha neppure l’esperienza sufficiente per “dare un nome” a quello che è accaduto. ‘Quando torna papà? Quando torna mamma?’. Cosa si risponde? E il bambino soffre”.

Succede allora che si dia “persino la colpa Dio,” e – commenta a braccio il Papa – “io li capisco – ha commentato a braccio Francesco – si arrabbia con Dio, bestemmia… ‘Perché mi hai tolto il figlio, la figlia? Ma Dio non c’è, Dio non esiste! Perché ha fatto questo?’…”

Papa Francesco mette in luce che la morte fisica ha dei complici anche peggiori “che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia” e che la rendono “ancora più dolorosa e ingiusta” perché gli “affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo. Pensiamo all’assurda ‘normalità’ con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani. Il Signore ci liberi dall’abituarci a questo!”

Ma la morte “non ha l’ultima parola,” e tutte le volte “che la famiglia nel lutto – anche terribile – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore”. “

“Nella luce della Risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo ‘pungiglione’, come diceva l’apostolo Paolo; possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio”.

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È questa fede che “ci consola,” perché “il Signore ha vinto la morte una volta per tutti,” e “i nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio”.

Dice il Papa: “Se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza”.

Riprendendo Benedetto XVI, il Papa sottolinea che la fede “ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana ‘non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna’.”

E poi il Papa sottolinea che “non si deve negare il diritto al pianto, dobbiamo piangere nel lutto! – esclama il Papa, ricordando che” anche Gesù ‘scoppiò in pianto’ e fu ‘profondamente turbato’ per il grave lutto di una famiglia che amava.”

Conclude Papa Francesco: “Il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte. E’ di quell’amore, è proprio di quell’amore, che dobbiamo farci “complici” operosi, con la nostra fede! E ricordiamo quel gesto di Gesù: ‘E Gesù lo restituì a sua madre’, così farà con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi. Lei è sconfitta dalla croce di Gesù. Gesù ci restituirà in famiglia a tutti”.

Al termine dell’Udienza generale, ricordando che sabato si celebrerà la Giornata Mondiale del Rifugiato promossa dalle Nazioni Unite, Papa Francesco chiede di pregare per “tanti fratelli e sorelle che cercano rifugio lontano dalla loro terra, che cercano una casa dove poter vivere senza timore, perché siano sempre rispettati nella loro dignità”.

“Incoraggio – aggiunge il Papa - l’opera di quanti portano loro un aiuto e auspico che la comunità internazionale agisca in maniera concorde ed efficace per prevenire le cause delle migrazioni forzate. E vi invito tutti a chiedere perdono per le persone e le istituzioni che chiudono la porta a questa gente che cerca una famiglia, che cerca di essere custodita”.