San Giuseppe è un padre che accoglie. Egli ha amato e accolto Maria e Gesù, una sposa e un figlio ben differenti rispetto alla visione della vita familiare che lui poteva desiderare, ma per questo da lui ancora più custoditi e amati. Giuseppe cioè non ha cercato spiegazioni alla sorprendente e misteriosa realtà che si è trovato di fronte, ma l’ha accolta con fede amandola così com’era. In questo senso San Giuseppe ci è maestro di vita spirituale e di discernimento, e lo possiamo invocare per essere liberati dai lacci delle troppe riflessioni nelle quali ogni tanto, pur con le migliori intenzioni, finiamo per perderci”. Lo ha detto il Papa stamane ricevendo in udienza la comunità del Pontificio Collegio Belga.

San Giuseppe – ha ricordato Francesco - è un padre che custodisce. L’essere custode fa parte essenziale della sua vocazione e della sua missione. Ha assolto questo compito con la libertà interiore del servo buono e fedele che desidera solo il bene delle persone che gli sono affidate. Custodire – per Giuseppe, come per ogni sacerdote che a lui ispira la propria paternità – significa amare teneramente coloro che ci sono affidati, pensare prima di tutto al loro bene e alla loro felicità, con discrezione e con perseverante generosità. Custodire è un atteggiamento interiore, che porta a non perdere mai di vista gli altri, valutando di volta in volta quando ritrarsi e quando farsi prossimi, ma sempre mantenendo un cuore vigilante, attento e orante. È l’atteggiamento del pastore, che non abbandona mai il proprio gregge”.

Un prete nel rapporto con la comunità che gli è affidata” – ha detto ancora il Papa – è chiamato “ad essere un custode attento e pronto a cambiare, a seconda di ciò che la situazione richiede; non essere monolitico, rigido e come ingessato in un modo di esercitare il ministero ma non in grado di cogliere i cambiamenti e i bisogni della comunità. Quando invece un pastore ama e conosce il suo gregge, sa farsi servo di tutti e farsi tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”.

San Giuseppe – ha concluso il Pontefice – è “un uomo che sa guardare oltre ciò che vede: con sguardo profetico, capace di riconoscere il disegno di Dio là dove altri non vedono nulla, e così avere chiara la meta verso cui tendere. Per i preti, allo stesso modo, è necessario saper sognare la comunità che si ama, per non limitarsi a voler conservare ciò che esiste, essere pronti invece a partire dalla storia concreta delle persone per promuovere conversione e rinnovamento in senso missionario, e far crescere una comunità in cammino, fatta di discepoli guidati dallo Spirito e spinti dall’amore di Dio”.