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Parolin, la diplomazia pontificia è contraddizione in senso evangelico

Il Cardinale Parolin, Segretario di Stato, con il Santo Padre Francesco |  | MM Acistampa Il Cardinale Parolin, Segretario di Stato, con il Santo Padre Francesco | | MM Acistampa

É  un appuntamento consueto ormai da anni quello che porta la Libreria editrice vaticana a Pordenone. Per la X edizione de “ La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone” che si svolgerà nella città friulana dal 25 al 29 ottobre 2016 quest’anno una anteprima a fine agosto con il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Città del Vaticano.

Sabato pomeriggio il cardinale ha tenuto una Lectio Magistralis sul tema “L’impegno diplomatico come esercizio di Giustizia e Misericordia” nella Sala Convegni dell’Ex Convento di San Francesco. Questa mattina il cardinale celebra la messa in Cattedrale. Nella Lectio il cardinale ha messo in luce alcuni punti della diplomazia della Santa Sede che non è diplomazia di conflitto ma di pace, attenta sopratutto all’uomo e non solo agli stati.

“La "comunione"- ha detto il cardinale- è pertanto il criterio per operare e la finalità ultima del lavoro di Nunzi, Delegati Apostolici, Rappresentanti presso le Organizzazioni internazionali, tutti chiamati a costruire quella comunione necessaria tra la Santa Sede e le Chiese locali, dagli Episcopati a tutti cattolici presenti nei diversi territori e regioni, tra la Santa Sede e il mondo”.

Purtroppo gli avvenimenti dell’ oggi fanno “apparire lontana quell'aspirazione al bene, alla concordia, alla pacifica coesistenza tra i popoli e le Nazioni di cui l'attività diplomatica è sempre stata veicolo, spesso unico e possibile strumento. Di fronte alla violenza, al diniego di giustizia, all'esclusione, al fatto bellico come unica risposta ai problemi di coesistenza, la diplomazia sembra aver dimenticato la sua natura di risorsa capace di colmare la faglia di rottura dei rapporti e della convivenza nella Comunità delle Nazioni.

La si vede spesso solo rincorrere i fatti, seguire l'alternarsi tra conflitto e soluzione pacifica di controversie, ma senza quella forza preventiva capace di arginare il ricorso alle armi tra gli Stati o nei conflitti interni altrettanto sanguinosi. Del resto oggi le guerre sono frutto di rapporti di forza prolungati, senza un preciso inizio e una fine certa. Un aspetto che impone alla diplomazia prima ancora di formulare una proposta risolutiva, di evitare che si blocchino o si scartino i mezzi pacifici”.

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La proposta della Santa Sede è di cambiare il senso stesso della diplomazia che “non può più essere l'espediente per separare idee e posizioni contrapposte, o per fermare le guerre in atto, magari con lunghe tregue armate, ma deve porsi come strumento di quella che si potrebbe definire come "coesione preventiva" tra le parti in lite, basata “sulla ferma convinzione che la pace può essere raggiunta mediante il dialogo e l'ascolto attento e discreto piuttosto che attraverso reciproche recriminazioni, critiche inutili e dimostrazioni di forza”.

E questo significa “che di fronte ai conflitti armati e al momento della loro conclusione o almeno sospensione, la diplomazia non deve solo analizzare i contesti, ma anzitutto cogliere i cambiamenti nell'applicazione delle regole. Questo per essere capace, cioè, di operare con tutti i mezzi possibili, senza porsi criteri che possano escludere una o più parti, rischiando di compromettere in partenza ogni soluzione”. Ecco perché, spiega il numero uno della diplomazia pontificia, “una diplomazia che voglia essere concreta, valuta l'elemento geopolitico, i cambiamenti, il dinamismo dei fatti e degli atti posti in essere, senza dimenticare la dimensione sociale, culturale e religiosa”.

C’è uno spazio grigio dove intervenire, dice Parolin, “in cui, oltre a divergenze sedimentate e a interessi nuovi, convergono carenze nelle decisioni politiche, ambiguità di gestione e di amministrazione, come pure voluti livelli di incongruenza tra le parole e le azioni, fino a limiti posti alla conoscenza e alla tecnologie. In quella zona grigia la diplomazia può operare in nome della verità, analizzando l'impatto dei fenomeni e proponendo interventi o soluzioni”.

Questo significa anche che “per la Santa Sede la diplomazia non è neutralità, ma vera contraddizione in senso evangelico che si impone con la competenza, l'azione mirata verso la giustizia, ma anche con la misericordia” e conseguentemente si tratta di una “diplomazia che persegue non una possibile pace, ma una pace rispondente alla realtà concreta che è mutabile e in divenire”.

Ecco quindi che “dietro categorie e sigle, interessi e chiusure, la diplomazia lascia intravedere il desiderio di relazione, sicurezza, pace, giustizia da parte degli attori delle relazioni internazionali. In questo quadro si colloca anche la diplomazia pontificia proponendo oggi il valore aggiunto della misericordia, quale fattore costruttivo e garante dell'ordine internazionale. Attraverso la misericordia potrà realizzarsi un assetto delle relazioni internazionali fondato sul valore intrinseco di ogni persona: la sua dignità”.