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Piacenza: non si entra in confessionale con il cellulare acceso

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“Non si entra in confessionale con il cellulare acceso, né tanto meno lo si utilizza durante i colloqui sacramentali. Si ha notizia di taluni Confessori, intenti a “chattare sui social”, mentre i penitenti fanno la loro accusa. Questo è un atto gravissimo, che non ho timore di definire: “ateismo pratico”, e che mostra la fragilità della fede del confessore nell’evento soprannaturale di grazia che si sta vivendo!”.

Lo ho ribadito il Cardinale Penitenziere Maggiore Mauro Piacenza che ha aperto questo pomeriggio  il XXIX Corso sul Foro Interno promosso dalla Penitenzieria.  Ad introdurre l’argomento in vista del Sinodo dei Vescovi di ottobre una lectio magistralis del cardinale che ha presentato delle linee guida basate sulla lettura del passo del Vangelo dell’incontro di Gesù con il giovane ricco.

Il giovane è una persona non diversa da un adulto, alla ricerca della felicità, e  si accosta alla riconciliazione con una grande apertura di cuore e non solo per “abitudine”. 

I sacramenti non sono una “mera automanifestazione della fede personale” spiega Piacenza, ma sono “azione di Cristo e della Chiesa, e l’identità sacramentale della Chiesa deriva dalla stessa identità umano-divina di Gesù di Nazareth” e per questo  il sacramento è un incontro, come  ricordava Benedetto XVI nella “Deus Caritas est”: “All’inizio dell’essere cristiano […] c’è l’incontro con un Avvenimento, una Persona”.

Si inizia allora dall’ascolto, ovviamente del penitente. E qui Piacenza afferma che purtroppo non è raro “ ricevere le lamentele di fedeli scandalizzati dalla distrazione del confessore, non attento alle loro parole o, addirittura, intento a fare altro, durante il dialogo”.  Invece “l’ascolto delle confessioni sacramentali dovrebbe sempre essere generosamente inserito in un normale orario d’impegni settimanali, e preceduto da qualche momento di raccoglimento profondo e di preghiera, domandando di divenire realmente capaci di ascolto, nella consapevolezza drammatica dell’importanza, talora determinante, della nostra mediazione umana”.

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La responsabilità del sacerdote è che “l’incontro con i Signore non sia mai ostacolato. Ciò non implica in alcun caso la rinuncia al compito di “giudice e medico”, che la tradizione teologica riconosce al ministro, anche perché l’incontro con la verità della propria condizione esistenziale, è sempre incontro con la Verità che è Cristo”.  In questa dinamica di relazione è insita la vocazione, che altro non è che il rapporto del cristiano con Cristo. E “ la forma di tale rapporto non è stabilita da noi, ma da Lui”. 

C’è poi l’ ascolto dalla Parola di Dio, anche attraverso le Sacre Scritture.... “non le opinioni personali di un uomo, per quanto culturalmente preparato e teologicamente informato, ma solo ed unicamente la Parola di Dio, nella duplice dimensione delle Sacre Scritture e della Tradizione vivente della Chiesa, interpretate dal Magistero autentico”.

Niente pelegianesimi, frutto di una forma di “morale soggettiva”, occorre liberare il fedele “da un’opprimente concezione volontaristica e solitaria della morale, ed inserendola nella dinamica relazionale della comunione dei Santi”.

Si arriva così alla scelta che tiene conto della fragilità umana e che è anche  “spazio di libertà”, che non significa “assenza di legami” ma è certezza di un’appartenenza. “L’uomo davvero libero è l’uomo amato, l’uomo che entra in rapporto con l’infinito, l’uomo che prega” spiega il Penitenziere.

E’ nella libertà che matura l’ascolto della volontà di Dio sulla vocazione e sulla scelta di seguirla o no. Come Cristo continua però ad amare il giovane ricco che dice il suo no, così il confessore è chiamato “ad amare la libertà del penitente, a rispettarla, anche quando le scelte che egli compie non appaiono ragionevoli né proporzionate con i doni ricevuti ed il cammino compiuto”. Ovviamente “rispettare le scelte del penitente, non significa in alcun caso condividerle e “benedirle”; significa semplicemente accettare di non potersi sostituire alla sua libertà”.

E qui il cardinale sottolinea la differenza del cristianesimo dalla “cultura contemporanea che pretende non solo che le aberrazioni siano rispettate, ma che siano condivise e benedette e che nessuno si permetta di dire il contrario, di affermare l’esistenza, almeno, di un’alternativa reale e possibile. Solo il cristianesimo riesce ancora a distinguere adeguatamente, per amore, l’errore dall’errante il peccato dal peccatore, proprio perché non identifica la persona con la propria autocoscienza, ma con il suo essere, mediato dall’esperienza storica della vita”.

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Ecco allora che “il Confessore, giudice e medico, padre e pastore, maestro ed educatore può avere una straordinaria benefica influenza sul penitente, soprattutto se giovane, sia in forza della differente maturità, sia, soprattutto, per il ruolo che egli riveste, per il compito che gli è stato affidato. Il Confessore non dovrà mai dimenticare che non di rado i penitenti lo ascolteranno come se ascoltassero il Signore stesso e la Sua volontà, pertanto ogni espressione, consiglio, indicazione, non dovrà mai essere determinato da meri criteri umani, pur se di comprensibile buon senso ed utilità, ma dal sincero ascolto, dal discernimento ed dall’accoglimento unicamente della Volontà di Dio, nella ricerca del vero bene della anime”.

Il programma prevede tra le relazioni: Questioni morali oggi emergenti che si presentano al confessionale di P. Maurizio Faggioni, O.F.M., Prelato Consigliere della Penitenzieria Apostolica; Pensiero unico e condizionamenti mediatici nei penitenti del Professor  Francesco Borghini, Psichiatra e Psicoterapeuta; La Confessione e l’uomo contemporaneo di P. Giandomenico Mucci, S.J., Professore emerito di Ecclesiologia e di Spiritualità; Casi di possessione. Discernimento e accompagnamento spirituale di P. Piermario Burgo,  Esorcista dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni.