Senza “l’effetto Francesco”, che è stato “dirompente in primo luogo per la Chiesa italiana”, “di sicuro il convegno di Firenze sarebbe stato pensato e organizzato diversamente”; “la prospettiva con cui guardare alla realtà si è capovolta” e ci si è orientati “dall’alto al basso, da analisi sociologiche a testimonianze di base, dall’accademia alla prassi”.

La Chiesa italiana è impegnata nella preparazione al V convegno ecclesiale di Firenze; Monsignor Domenico Pompili, Sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana e responsabile dell’Ufficio delle Comunicazioni sociali, è una delle personalità che si sta risparmiando di meno nel girare l’Italia per spiegare il senso del “Nuovo umanesimo in Cristo Gesù” nelle “periferie” del nostro Paese.

L’altro giorno il portavoce dei vescovi italiani è stato a Savona e ha ribadito il suo pensiero nel Teatro don Bosco, dove la diocesi aveva promosso l’incontro “La Chiesa italiana a Firenze: quale la posta in gioco?”.

All’interrogativo della chiesa ligure, la risposta di Pompili è stata semplice e diretta: il prossimo Convegno ecclesiale è un’“occasione irrinunciabile per valorizzare il meglio del post Concilio”, ha detto, raccontando  “una Chiesa che cammina nella modernità”.

“Perché non pensare che Firenze 2015 – ha esortato il Sottosegretario Cei - possa diventare quel terreno di coltura in cui riuscire a 50 anni dal Concilio ad esprimere una compiuta sintesi del cammino ecclesiale? Incrociando finalmente pastorale e cultura, senza continuare a contrapporle, ma integrandole entro un orizzonte più ampio?”.

L’orizzonte nel quale si è mosso il portavoce dei vescovi è stato quello storico, passando in rassegna numerose storie legate ai quattro eventi ecclesiali della Chiesa italiana. Partendo dal convegno ecclesiale di Roma, nel quale Paolo VI seguì “con segreta attenzione il primo raduno generale dei cattolici del Belpaese che intendevano così tradurre il Vaticano II in lingua italiana”. Una vicinanza scontata ma non ovvia, quella con i papi, proseguita con l’impegno di  “Giovanni Paolo II a cambiare i connotati dell’appuntamento di Loreto, dove il suo discorso invertì la prospettiva fino allora coltivata”. Ovviamente, ha spiegato, “si era negli anni ruggenti di quella polemica tra “mediazione” e “presenza”, rispettivamente incarnati dall’Azione Cattolica e da Comunione e Liberazione”.

“Di fatto – ha continuato Pompili - non è difficile cogliere nella sequenza dei convegni di metà decennio le diverse stagioni del post-Concilio, sempre con un riferimento esplicito alla presenza del Papa. Pur consapevole dei limiti di ogni periodizzazione, l’essere il convegno di Firenze collocato alla foce di un cammino così interessante, consente di intuire con uno sguardo retrospettivo almeno due tornanti”; infatti “se i primi due, fino all’arrivo di Giovanni Paolo II, sono per così dire la tesi, gli altri due ne sono, per certi versi, l’antitesi. Forse è giunto il momento di provare a sperimentare la sintesi, che è quanto ci si attende dagli oltre 2000 delegati che convergeranno nella città di Dante dal 9 al 13 novembre di quest’anno”.

Dopo Verona, con Benedetto XVI che parlò di “una fede amica dell’intelligenza” e di “una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti” che  “ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano”, si è rafforzato il fronte dell’impegno culturale e della sfida dell’educazione, oggi orientata ai poveri e alle “periferie” nel pontificato di Francesco.

“La presidenza del card. Bagnasco – ha aggiunto Pompili - accentua la dimensione educativa dell’azione ecclesiale con un forte aggancio alla cifra spirituale dell’essere credenti. In questo contesto si inseriscono all’inizio del 2010 i nuovi Orientamenti dedicati a “Educare alla vita buona del Vangelo””.

E’ così, ha continuato il monsignore, che “gradualmente si coglie una diversa sfumatura nello stile e nella presenza ecclesiale. Più centrati sull’essenziale, ben prima che la politica lo ammetta, si dà voce ad una crisi che è diventata economica dopo essere stata a lungo solo morale. Di qui la necessità di passare attraverso ‘la porta stretta’ di un impegno personale che precede qualsiasi strategia culturale e pastorale. Si torna a far leva sulla persona che è la leva su cui innestare qualsiasi cambiamento e che richiede una nuova cura delle generazioni”.

Firenze 2015 riprende e catalizza queste prospettive, come si legge nella “Traccia appena pubblicata, ai primi di dicembre, che definisce il cammino verso il V convegno di Firenze. Il nostro è tempo di gratitudine e di discernimento non di lamentela e tantomeno di sterile denuncia. E la strada da seguire non è quella “di disegnare in astratto i termini e i confini di un nuovo umanesimo”. Si tratta invece di “partire dalle testimonianze che sono esperienza vissuta della fede cristiana e che si sono tradotte in spazi di ‘vita buona del Vangelo’ per la società intera””.