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Storie dei Papi: Quando Leone XII decise di "abbassare" gli stemmi pontifici

Lo stemma di Leone XII |  | pd Lo stemma di Leone XII | | pd

A Roma siamo abituati a vederli un po’ da per tutto. Gli stemmi dei Pontefici. Quelli del passato in pietra su case e palazzi antichi, quelli del Papa regnante nelle chiese che sono “tituli” a fianco allo stemma del cardinale titolare.

Ma un tempo uno stemma pontificio non era solo una decorazione o l’indicazione di un legame con la Chiesa di Roma, era piuttosto il simbolo di un privilegio che permetteva a chi lo aveva sulla porta del palazzo di avere immunità anche fiscali.

E fu anche per questo che Leone XII decise di riordinare l’elenco di chi poteva fregiarsi di quello stemma.

Come racconta Luisa Clotilde Gentile nel volume “Antico, conservazione e restauro a Roma nell’età di leone XII” edito tra i Quaderni regionali delle Marche,

Nel 1823 a fine ottobre il principe Chigi scriveva nel suo diario: “ In questi giorni per ordine superiore, comunicato per mezzo dei carabinieri, sono state fatte togliere tutte le armi pontificie che si erano inalzate su le porte dei pubblici uffici e di molti privati che credevano avervi diritto come aderenti al Palazzo Apostolico […] L’ordine di togliere le armi pontificie dalle porte delle abitazioni si estende anche alla nobiltà, e non pare che siano eccettuati se non i sommi cardinali, i principi, i ministri esteri e le chiese” .

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L’dea di innalzare stemmi pontifici un po’ da per tutto era nata con Pio VII nel 1814  con evidenti finalità di restaurazione politica e sociale. Caduto Napoleone fu facile ottenere tramite il Maggiordomo dei Sacri Palazzi una concessione per avere lo stemma sulla porta di casa.

Cosa alquanto singolare è che soprattutto gli artigiani per lo più fornitori dei Sacri Palazzo, lo vollero. Come garanzia di qualità e pubblicità. Così lo scudo papale - spiega Gentile- si vede sulle botteghe di gioiellieri, librai, ebanisti e intagliatori, ma anche carbonellari, materassai, calderai, arrotini, pellari, fabbricanti di lumini e di ombrelli di seta, albergatori, osti, barbieri, fornai, vinattieri, e perisno ebrei.

La concessione avveniva per i motivi più vari e altrettanto vari gli abusi. C’era insomma chi usava lo stemma pontificio per benefici personali che nulla avevano a vedere con il Papa.

Ma Pio VII voleva mettere in evidenza il rinnovato legame tra la monarchia pontificia e i suoi sudditi.

Annibale della Genga però la vedeva diversamente intendeva restituire allo scudo pontificio l’esclusività e la dignità di un segno di sovranità.

Fu redatto un elenco preciso di chi poteva usare lo stemma. Immediate ovviamente le proteste più o meno giustificate.

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Lo stemma di Papa Leone XII venne usato nella quotidianità nell’intestazione di bolle, brevi e notificazioni dati alle stampe dalla Tipografia camerale, sulle monete e sulle medaglie, senza nessun cambiamento rispetto a quanto praticato sotto i precedenti pontefici.

Ma diversa fu la scelta su come apporre gli stemmi di Leone XII a monumenti o opere d’arte, e infatti sono rarissimi. Poche sono le opera di committenza portate a termine nel suo pontificato ma è anche vero che  il Macello e il Porto Leonino, non sembra  recassero iscrizioni stemmate.  Lo stemma a San Paolo fuori le Mura e sulla facciata del Duomo di Orvieto sono apposizioni postume e perfino la carrozza che porta il suo nome, con retro una massiccia aquila della Genga non fu commissionata dal Papa, ma dai conclavisti del 1823, esembra che Leone XII non la volle mai utilizzare.

Il solo scudo rimasto per le vie di Roma orna il portale di palazzo Gabrielli-Borromeo, in via del Seminario. In effetti perché Leone XII riconsegnò il palazzo nel 1824 ai Gesuiti per ripristinarvi il Convitto dei Nobili. Il suo stemma significa i privilegi dati dal pontefice alla Compagnia di Gesù, dopo mezzo secolo dalla soppressione, e ribadiscono la protezione assicurata ai Gesuiti contro i nemici della Compagnia.

“ L’avversione all’uso dell’araldica quale veicolo di vanagloria e antievangelico esibizionismo- scrive Gentile-  rispondeva a un’istanza morale che riemergeva da secoli qua e là nell’omiletica e nella pastorale, da quando gli stemmi avevano fatto irruzione nella Chiesa e nelle chiese; un’istanza che dal tardo Medioevo, da Taulero e Savonarola, era arrivata ai trattatisti della Riforma cattolica, a Carlo Borromeo e Gabriele Paleotti”.

Non che lo stemma non si usasse per motivi giuridici o di governo, ma non era apprezzato da Leone XII un utilizzo di pura vanità.

Con il giubileo del 1825, l’unico del secolo, alcuni vollero ripristinare gli stemmi sulle facciate delle chiese. Un lungo dibattito tra varie autorità decise come avrebbero dovuto essere.

Molti scudi a cominciare da quelli asportati dalla facciata e dal colonnato di San Pietro erano già  stati ricollocati nella prima Restaurazione, nel 1800 e negli anni seguenti, ma l’Anno Santo doveva ridare visibilità a una Chiesa rinnovata, dopo il trauma dei rivoluzionari prima, e dell’ indifferentismo poi.

Così il ripristino degli scudi con lo stemma pontificio poteva essere un mezzo tra tanti per rimediare alla “depapalizzazione" dell’Urbe perpetrata nel 1798 dai repubblicani armati di scalpello”.

Non risulta però dai documenti che Papa Leone XII, abbia fatto propria la questione, a differenza di quanto aveva fatto per l’abbassamento degli scudi papali abusivi.

“Gli scempi operati dai repubblicani facevano ormai parte della storia, e il progetto di ricattolicizzazione della società europea correva su altri binari” conclude Gentile.