Advertisement

Santa Sede: “Valorizzare i migranti per lo sviluppo delle città”

Silvano Maria Tomasi | Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'ufficio ONU di Ginevra | Daniel Ibanez / CNA Silvano Maria Tomasi | Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'ufficio ONU di Ginevra | Daniel Ibanez / CNA

Valorizzare il ruolo dei migranti nelle città e nelle aree urbane, per avere un migliore sviluppo. Convinta che la situazione dei migranti è il termometro sulla base del quale si misura la salute della democrazia, la Santa Sede difende il ruolo dei migranti nella società in un intervento al dibattito su “Migranti e città: nuovi partenariati per gestire la mobilità,” che si è tenuto lo scorso 27 ottobre alla Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

È l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, a proferire il discorso. E parte prima di tutto dalle cifre. Sottolinea che il 54 per cento delle persone nel mondo vivevano in aree urbane nel 2014, e che si stima che il numero quasi raddoppierà fino ad arrivare a 6,4 miliardi nel 2050. Insomma, il mondo sarà una sorta di città globale, e “per la prima volta nella storia umana, la densità della popolazione nelle aree urbane supererà la densità della popolazione nelle aree rurali.”

Normale, dato che gli agglomerate urbani calamitano le persone, offrono progresso economico, maggiore accesso la lavoro, più educazione. Ma “questo cambiamento democratico” darà “sfide e opportunità tanto ai migranti tanto alle città che li ospitano,” a tutti i livelli, affirma l’arcivescovo Tomasi.

E però i migranti sono “relagati in aree chiuse” in molte città, nelle cosiddette “comunità cancello”, specialmente in quei posti dove il gap tra ricchi e poveri è alta. Sono aree che “funzionano come un tipo di barriera sociale esclusiva, una sorta di enclave per le classi più abbienti, che si difendono dietro muri come una protezione dall’insicurezza che viene dalle ineguaglianze sociali.”

È qui che si sperimenta il divario più grande tra chi è dentro e chi è fuori, una situazione – afferma l’arivescovo Tomasi – che “chiede un ripensamento della relazioni tra la città e i migranti sia in termini di spazio urbano, sia in termini di inteazione con i gruppi sociali.” È insomma necessario “delineare una nuova politica pubblica diretta a far crescere le relazioni sostenibili tra abitanti e spazi urbani.”

Advertisement

Anche perché “le migrazioni giungono non solo per provvedere una forza lavoro economica per sostenere il funzionamento quotidiano delle economie urbane,” ma portano anche “nuovi imprenditori, nuovi contributi allo scenario sociale sempre in evoluzione.” Il ruolo dei migranti – aggiunge l’arcivescovo Tomasi – contribuisce “allo sviluppo economico e sociale delle società che gli ospitano,” e per questo “si deve dare maggiore attenzioen al loro impegno civico e al loro impegno nel lavoro volontario” attraverso vari tipi di organizzazioni, così che “il loro contributo produca un impatto positivo” sulla società.

Infatti – aggiunge l’Osservatore Permanente della Santa Sede – il coinvolgimento dei migranti nella vita sociale e civile “facilità la loro integrazione e permette loro di restituire alla nazione che li ospita quanto ricevono.” Se i migranti si sentono apprezzati – è il ragionamento – sapranno avere un impatto positive, e questa esperienza di scambio “promouove un attitudine di aperture nei confronti delle alter culture” da parte di tutti gli attori in campo – le società, i cittadini nativi, i cittadini migranti. Non solo: attraverso il modo in cui percepiscono i problemi pubblici e il loro impegno sociale, “i migrant possono partecipare a delineare una nuova politica pubblica della città.” In fondo, “il principio di sussidiarietà riconosce il ruolo dei migrant nel momento in cui contribuiscono al bene commune in uno spirit di fraternità, libertà e eguaglianza.”

Alla fine, la Santa Sede chiede “politiche a sostegno dei migrant, specialmente quelli accettati per ragioni umanitarie,” perché queste “forniscono una straordinaria occasione di riflessione sui valori su cui si basa la democrazia si basa.” Insomma, queste politiche nuove “costituiscono una opportunità unica per migliorare il rispetto dei diritti umani e i principi base della civilizzazione.”