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#sharejourney le braccia della Caritas aperte verso i migranti

#sharejourney alla Sala Stampa della Santa Sede |  | Daniel Inbañez/ Cna
#sharejourney alla Sala Stampa della Santa Sede | | Daniel Inbañez/ Cna
#sharejourney in Sala Stampa con i cardinale Tagle  |  | AA
#sharejourney in Sala Stampa con i cardinale Tagle | | AA
Yancuba, Amadou,Berete tre storie per #sharethejourney |  | AA
Yancuba, Amadou,Berete tre storie per #sharethejourney | | AA
monsignor Delpini #sharejourney |  | Diocesi di Milano
monsignor Delpini #sharejourney | | Diocesi di Milano

C’era anche il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, con 50 profughi ospiti nelle parrocchie della Diocesi di Milano all’ udienza generale di Papa Francesco.

L'idea di Caritas internationalis è di coinvolegere le comunità locali, la gente nelle scuole nelle parrocchie e sensibilizzare, coinvolgere nella questione dei rifugiati e delle migrazioni il maggior numero di persone possibile. Creare luoghi ed occasioni di inocntro, di servizio, spazi di incontro reali contro ogni paura. Un invito cui Caritas italiana ha risposto con la sua testimonianza di fatti concreti. Come il progetto: Rifugiato a casa mia.

Oggi la campagna lanciata dal Papa per Caritas Internationalis “Share the journey” (#sharejourney) che vuole promuovere la “cultura dell'incontro” l’hanno aperta anche loro con il gesto di allargare le braccia che tutti i cittadini nel mondo sono invitati a fare da domani e a condividere, postando sui propri account social le foto con l’hashtag #sharejourney. Il primo ad accogliere l’invito è stato l’Arcivescovo, Mario Delpini. 

"Invito tutti -ha detto il cardinale Tagle- a ricordare chi è stato un migrante nella vostra famiglia o comunità; a pensare a chi sono le persone che vengono da lontano e sono davanti ai vostri occhi. Per me queste persone sono mio nonno da bambino riconoscente della compassione ricevuta e dell’opportunità che gli è stata data in un altro Paese. Per favore unitevi a noi, andate loro incontro".

Alcune storie commuovono particolaremente come quella di Yankuba Darboe che  vive in Gambia fino al 2014, poi parte arriva in Senegal, poi in Mauritania, dove lavora come pescatore. Successivamente va in Mali dove non riesce a guadagnare abbastanza per mantenersi. Poi in Libia passando per il Niger, sempre alla ricerca di un lavoro.

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Viene rapito insieme alle persone che stanno nell'automobile con lui, mentre sta attraversando il confine tra Niger e Libia. I rapitori lo torturano e lo costringono a chiedere soldi ai familiari per farlo liberare. La famiglia i soldi non li ha e quindi continuano le torture. Un giorno, insieme agli altri, decide di fuggire e sa che per questo potrebbe essere ammazzato. La fuga riesce.

Decide, dunque, di prendere il mare e si affida a dei trafficanti, dopo aver lavorato un po’ in Libia. Sbarca a Catania e poi viene trasferito a Benevento, prima in una casa famiglia per minori poi nella struttura Caritas. Qui studia, segue una formazione professionale e i laboratori in cui gli spiegano le leggi, gli usi e i costumi del paese ospitante. Ottiene il diploma di liceo scientifico. Oggi è iscritto all’università e studia biologia.

Da quasi due anni è operatore all'accoglienza dei minori presso Caritas. Ama giocare a calico. Sogna di riabbracciare un giorno la sua famiglia.

C'è poi Amadou Darboe, primogenito di una famiglia numerosa e figlio di un Imam, alla morte del padre si assume la responsabilità di sostenere economicamente la sua famiglia. Per questo affronta il doloroso viaggio in mare, alla ricerca di un futuro migliore.

Amadou beneficia del progetto “Protetto. Rifugiato a casa mia”. Sempre particolarmente collaborativo, raggiunge importanti risultati grazie al suo impegno, tra cui: corso per panificatore e pizzaiolo, licenza di terza media e tirocinio formativo presso una pizzeria.

E’ musulmano e crede fortemente nel dialogo fra persone di religioni differenti, per questo ha voluto frequentare gli incontri dell’azione cattolica parrocchiale. A dicembre ha partecipato attivamente alla rappresentazione della natività.

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Al pensiero di poter incontrare il Papa ha esternato sempre un grande entusiasmo, considerandolo per lui un onore e una grande gioia. Alla domanda sul perché vorrebbe incontrarlo ha risposto: “Perché mi ha salvato la vita. Questo progetto mi ha dato tante possibilità e una famiglia, tante zie, zii, mamme, papà e amici. Non ci sono parole per ringraziare”.

E ancora  Berete Ibrahima  che lascia la Guinea all’età di 16 anni perché intenzionato a raggiungere la Libia per studiare. Con un gruppo di persone, su una sorta di fuoristrada, attraversa il deserto tra mille difficoltà e pericoli: restano bloccati per circa tre giorni senz’acqua. Finalmente qualcuno li aiuta ed il viaggio prosegue. Arriva in Mali, poi in Algeria ed infine in Libia.

In Libia inizia a studiare e frequenta un corso di formazione come elettricista. Inizia anche a lavorare riuscendo a pagarsi gli studi.

Dopo circa un anno, scoppia la guerra in Libia e decide di imbarcarsi per l’Italia dando in cambio tutti i soldi che era riuscito a mettere da parte. 

Il viaggio in mare dura due giorni e non mancano gravi complicazioni: si rompe il GPS, perdono la rotta e vengono salvati da alcuni pescatori tunisini. 

Ibrahima arriva a Lampedusa nel 2011 all’età di 17 anni. Viene in seguito trasferito a Casapesenna (CE) in una casa famiglia. Al compimento della maggiore età viene trasferito presso la sede della Caritas Diocesana di Aversa.

Nel 2012, Ibrahima arriva in Caritas e resta lì per altri due anni. Viene aiutato per la sua pratica di richiedente asilo e frequenta la scuola ottenendo il titolo di licenza media. Partecipa a diverse attività come volontario in Caritas.

Nel 2013 inizia un tirocinio presso un ristorante locale. Oggi è assunto a tempo indeterminato come aiuto cuoco.

La prossima tappa a febbraio 2018 sarà dedicata a creare una campagna comune con l'ONU, a giugno la giornata del rifugiato avrà un significato speciale e a settembre 2018 Caritas promuove all'ONU l'adozione dei due accordi su rifugiati e migrazione.
Alla fine del 2019 "Condividi il viaggio" finisce con la speeranza che nel mondo, anche a livello politico, comabi l'atteaggiamento e siano nate nuove realtà di accoglienza.

 

 

 

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