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Un film racconta Bisagno, "Primo partigiano"

Bisagno | Bisagno durante la guerra | da tiscali.it Bisagno | Bisagno durante la guerra | da tiscali.it

Raccontano che avesse uno sguardo vivo e calmo, e un carisma di leader naturale. E che fu proprio questo a renderlo amatissimo dalla popolazione, rispettato dalla popolazione, ma anche temuto dai suoi stessi capi. Perché Aldo Gastaldi era entrato nella Resistenza, nelle Brigate Garibaldi, praticamente da subito, tanto che è riconosciuto come “Primo partigiano di Italia.” Ma di certo considerava la Resistenza come un movimento unico di liberazione, senza connotazioni politiche poi invece sono giocoforza entrate, nel tentativo di accaparrarsi il potere e di raccontare la storia.

Settanta anni dopo la Liberazione, dopo moltissimi libri che hanno “revisionato” quella parte di storia di Italia e hanno cercato di ripulirla da ogni connotazione di partito, l’immagine di questo cattolico fervente spicca tra tutte le altre. Marco Gandolfo, ligure di origini, con varie esperienze di montaggio televisivo e regista con Paul Badde di "Baddes Bilder", gli ha dedicato un lungometraggio, “Bisagno”, che è stato presentato il 29 aprile all’Università Cattolica di Milano. Ha raccontato Aldo Gastaldi con la voce di chi lo aveva conosciuto, andando a incontrare parenti, nipoti, facendo – come ogni giornalista dovrebbe fare – un passo indietro rispetto alla storia. Perché la storia è potente, e si racconta da sé.

Nato nel 1921, Aldo Gastaldi aveva appena 21 anni quando le sorti dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale cambiarono radicalmente. Lui, ufficiale dell’esercito, il 25 luglio 1943, giorno della caduta di Mussolini, andò con i suoi uomini a distruggere i simboli della Casa del Fascio. L’8 settembre, giorno della firma dell’armistizio, fece nascondere ai suoi uomini armi e munizioni all’arrivo dell’occupazione tedesca. E subito entrò nella Resistenza, prendendo la strada delle montagne, e diventando il capo della divisione Cichero, che divenne una delle più famose della guerra.

Perché la divisione Cichero aveva un codice severissimo, che alcuni consideravano quasi ai limiti della sopravvivenza. Ma era probabilmente l’unico modo di tenere unito e disciplinato un plotone di ex soldati, ma anche cittadini comuni che avevano preso la strada delle montagne per resistere ai nazifascisti. E Bisagno, con le sue doti naturali di condottiero, era presto diventato un punto di riferimento.

Un punto di riferimento tale che era temuto dagli stessi vertici delle Brigate Garibaldi. Cattolico fervente, Gastaldi aveva una mentalità completamente apartitica. L’idea della “presa di potere” era completamente lontana dalla sua testa.

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Scriveva all’amico Gech che “che il metodo fascista» non era morto nemmeno tra le fila partigiane,” e che andava avversato impegnandosi a fondo in una lotta “contro tutto ciò che è falso, che è sgradevole, disonesto, ingiusto,” manifesto nel gioco degli interessi di parte. La guerra partigiana non andava raccontata – spiegava – come momento di rivoluzione politico-ideologica, quanto piuttosto come un movimento non politico di liberazione dalla dittatura.

Ovvio che i comandi del Comitato di Liberazione Nazionale ligure non lo vedessero di buon occhio. Mentre Genova veniva liberata fu lasciato con i suoi in montagna. Il 21 maggio morì cadendo da un camion con il quale aveva riportato alle loro case gli alpini della divisione Monterosa, che si erano uniti alle sue bande il 4 novembre del 1944. Le circostanze non furono mai chiarite, e c’è chi pensa si volesse togliere di mezzo uno di coloro che si sarebbe opposto alla ricostruzione della Resistenza che già stava avendo luogo in quegli anni, così come alle tante epurazioni che rimasero nascoste nella storia.

Per questo, oggi è importante raccontare la storia di Bisagno. Per ricordare che la Resistenza, in Italia, ha molti volti. E che uno di questi volti, forse il più brillante, è quello di questo giovane “primo partigiano”, il cui amore per la giustizia lo fece diventare prestissimo un punto di riferimento per tutti.