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Un Papa santo e un letterato francese 35 anni fa sfidavano la cultura secolare

Cardinale Paul Poupard |  | Daniel Ibanez / CNA Cardinale Paul Poupard | | Daniel Ibanez / CNA

“La sintesi tra fede e cultura non è solo un’esigenza della cultura ma anche della fede. Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Sono parole di Giovanni Paolo II scritte il 20 maggio del 1982 in occasione della fondazione  del Pontificio Consiglio della Cultura, l’organo del vaticano che promuove, accoglie ed elabora le grandi istanze culturali della nostra epoca.

Trentacinque anni dopo alla guida del dicastero c’è il Cardinale Gianfranco Ravasi, successore del cardinale Poupard che ha fondato il Pontificio consiglio insieme a Giovanni Paolo II.

Il 2 giugno del 1980 all’ Unesco il Papa polacco lanciava la sfida: è fondamentale coltivare le diversità che sussistono malgrado la globalizzazione.

Il  Cardinale Paul Poupard sottolinea: “Uno dei grandi compiti che abbiamo svolto è stata quello di riallacciare la relazione tra scienza e fede incrinati dai tempi di  Galileo Galilei. La chiesa non ci insegna come è fatto il cielo ma come andare in cielo.. Ogni scienza deve rispettare la propria competenza”.

In una intervista per ACI Stampa il cardinale Poupard, francese classe 1930, ricordava come era nata l’idea del Pontificio consiglio per la cultura:

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“Quando Wojtyla è diventato Papa, io ero rettore dell’ Institut Catholique de Paris. Egli mi nominò vescovo di Parigi con l’incarico di portare la cultura come preoccupazione per la Conferenza episcopale francese. Poi, un anno dopo, il primo giugno del 1980, l’ho ricevuto all’ Institut Catholique. A Parigi era stato invitato dell’UNESCO, e poiché aveva il senso delle cose,  voleva onorare la cultura cattolica (anche contro il parere di qualche consigliere) e prima di andare all’ UNESCO l’ho ricevuto all’Istituto. Dopo la visita pensavo che tutto era andato bene e sarei tornato ai miei studi. Ma mi sbagliavo. Dieci giorni dopo il Papa mi chiama per tornare a Roma e succedere al cardinale Franz König al Segretariato per i non credenti, che allora riguardava in effetti la metà dell’ Europa che era sotto la dittatura ateista.

Ma la sua idea per me era la cultura. Non me lo disse subito, ma soltanto durante un pranzo di lavoro, il primo di una infinità di pranzi di lavoro, mi disse: la culture! Con la sua voce profonda. Ed abbiamo creato il Pontificio Consiglio per la Cultura e ho avuto una vita ministeriale molto lunga che è durata oltre 25 anni.

Qual era la idea di cultura per Giovanni Paolo II?

Nella idea di Wojtyła la cultura è l’ethos di un popolo, io lo traduco: è l’anima di un popolo. E Giovanni Paolo II aveva spiegato proprio nella visita a Parigi del 1980 questo concetto, la cultura è dell’uomo per l’uomo, che senza cultura non c’è un popolo. Quindi fondamentale per la Chiesa. Il Pontificio consiglio serviva a far capire alla Chiesa la importanza della cultura e avere in mente di evangelizzare le culture ed inculturare il Vangelo due cose che vanno insieme, secondo il Concilio.

La sfida della cultura cattolica al mondo e sempre più attuale?

Nella mia gioventù, io sono angioino, del nord della Francia, io vivevo in una famiglia cristiana, tutti i vicino lo erano e credevo che fosse così tutto il mondo! Poi ho capito che, anche senza saperlo, che ero stato formato da una cultura cattolica.

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E parlando con Giovanni Paolo II dicevano che la Chiesa Cattolica senza nemmeno rendersene conto, perché la riflessione su questo arrivò con la Ecclesiam suam di Paolo VI, faceva cultura non soltanto per i cristiani ma anche per gli altri. E così dopo due millenni l’Europa viveva con la cultura cristiana, cioè con la concezione della persona, dell’uomo e la donna, del matrimonio, il lavoro la famiglia e tutto il resto che fa la vita.

Oggi siamo in un processo di secolarizzazione, per cui in un primo tempo la Chiesa ha perso questo “magistero indiretto” sugli altri, e poi in un secondo momento che stiamo vivendo ora, lo sta perdendo anche per i propri figli. Perché in pratica la gente senza nessuna riflessione crede che tutto quello che fa è naturale. Invece non è così.

Allora aiutiamo la Chiesa a capire l’importanza che ha la cultura sul modo di comportarci, di vivere, di pensare e di fare. E se non siamo attenti man mano la fede, senza che ci sia una vera apostasia in pratica come si perde. Questo vedevamo con Giovanni Paolo II.

Allora mantenere la cultura cattolica in dialogo con gli altri. E il progetto di fare un unico dicastero tra cultura e dialogo interreligioso era l’idea che nasceva dopo l’implosione del sistema sovietico, perché era evidente che tutto si sarebbe fatto sul terreno della cultura.

E i temi degli ultimi incontri che ho fatto erano proprio un dialogo sui valori e sui grandi temi etici”.