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Francesco con i religiosi rilancia la necessità dell'autoironia e della memoria

Il Papa con i religiosi  |  | TW/ Antonio Spadaro
Il Papa con i religiosi | | TW/ Antonio Spadaro
Il Papa a nel Palazzo dell' Arcivescovado di Truijllo |  | Vatican Media
Il Papa a nel Palazzo dell' Arcivescovado di Truijllo | | Vatican Media
Il Papa nella Cattedrale di Trujillo |  | Vatican Media
Il Papa nella Cattedrale di Trujillo | | Vatican Media
Il Papa a Truijllo |  | Vatican Media
Il Papa a Truijllo | | Vatican Media
Il Papa a Truijllo |  | Vatican Media
Il Papa a Truijllo | | Vatican Media
Una "nonna" che attende il saluto del Papa |  | Vatican Media
Una "nonna" che attende il saluto del Papa | | Vatican Media
La gente attende il Papa a Truijllo davanti alla Cattedrale |  | ACI Group/ Alvaro De Juana
La gente attende il Papa a Truijllo davanti alla Cattedrale | | ACI Group/ Alvaro De Juana

“ Le nostre vocazioni avranno sempre quella duplice dimensione: radici nella terra e cuore nel cielo”. Papa Francesco lo ripete ai sacerdoti e ai religiosi a Truijllo in Perù nel Colegio Seminario di Trujillo, da 390 anni dedicato ai Santi Carlo e Marcello.

Il Papa indica tre strade per vivere bene la vocazione, partendo dalla memoria come forma della fede: la gioiosa coscienza di sé, l’ora della chiamata, la gioia contagiosa.

Senza radici però, dice il Papa si marcisce, e allora il monito è quello di accorgersi per tempo, per non marcire.

“Noi consacrati -dece Francesco- non siamo chiamati a soppiantare il Signore, né con le nostre opere, né con le nostre missioni, né con le innumerevoli attività che abbiamo da fare. Semplicemente ci viene chiesto di lavorare con il Signore, fianco a fianco, ma senza mai dimenticare che non occupiamo il suo posto”.

E bisogna anche imparare a ridere, dice perché “imparare a ridere di sé stessi ci dà la capacità spirituale di stare davanti al Signore coi propri limiti, errori e peccati, ma anche coi

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propri successi, e con la gioia di sapere che Egli è al nostro fianco”. E poi la memoria dell’incontro che cambia la vita “quell’ora in cui siamo stati toccati dal suo sguardo. Quando ci dimentichiamo di questa ora, ci dimentichiamo delle nostre origini, delle nostre radici; e perdendo queste coordinate fondamentali mettiamo da parte la cosa più preziosa che una persona consacrata può avere: lo sguardo del Signore”.

Poi una nota per la pietà popolare che in Perù ha trovato “le forme più stupende e il radicamento nel popolo fedele e semplice” e Francesco esorta a “non dimenticare, e tanto meno a disprezzare, la fede semplice e fedele del vostro popolo” e senza perdere “la memoria e il rispetto per coloro che vi hanno insegnato a pregare”.

Allora attenzione al “mascheramento” vocazionale, ma valutare la gioia “il miglior segno del fatto che abbiamo “scoperto” il Messia”. Una gioia che “ci apre agli altri, è una gioia da trasmettere. Nel mondo frammentato in cui ci è dato di vivere, che ci spinge ad isolarci, la sfida per noi è essere artefici e profeti di comunità. Perché nessuno si salva da solo”.  Perché per il Papa “la frammentazione e l’isolamento non è qualcosa che si verifica “fuori”, come se fosse solo un problema del “mondo”. Fratelli, le divisioni, le guerre, gli isolamenti li viviamo anche dentro le nostre comunità, e quanto male ci fanno!”. Allora ecco che “occorre guardarsi dalla tentazione del “figlio unico” che vuole tutto per sé, perché non ha con chi condividere. A coloro che devono esercitare incarichi nel servizio dell’autorità chiedo, per favore, di non diventare autoreferenziali; cercate di prendervi cura dei vostri fratelli, fate in modo che stiano bene, perché il bene è contagioso. Non cadiamo nella trappola di un’autorità che si trasforma in autoritarismo dimenticando che, prima di tutto, è una missione di servizio”.

Un discorso arricchito di aneddoti e battute scherzose nello stile tipico di Papa Francesco.

L’arcivescovo José Antonio Eguren Anselmi, S.C.V.  ha salutato il Papa ricordando che i pastori devono avere l’ odore delle pecore e l’odore di Dio come proprio Francesco ripete.

Il Papa aveva appena vistato la cattedrale e deposto fiori ai piedi della Vergine. La Cattedrale di Santa María domina, con il suo color miele, lo spazio della Plaza de Armas, cuore storico di Trujillo. Il primo edificio del 1616, di dimensioni piuttosto ridotte, viene distrutto da un terremoto, piu volte distrutta più volte ricostruita, custodisce opere che mescolano la tradizione occidentale con i tratti della pittura indigena e meticcia. Spicca, in particolare, la pala dell’altare maggiore, a foglia d’oro, una delle due sole rimaste in Perù l’altra si trova nella Cattedrale di Cuzco.

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a fianco c’è il Palazzo dell’ Arcivescovado che è caratterizzato da magnifiche tonalità di blu e bianco, in origine era una dimora coloniale del XVIII secolo, tra le diverse che ornano la Plaza.

Il dono del Papa per il Seminario è stato una  statua di San Francesco in bronzo, una suggestiva rappresentazione di San Francesco nell’atto di slanciarsi verso il cielo mentre declama il suo celebre cantico di lode a Dio Creatore. Moltissimi i fedeli per strada che attendevano di salutare il Papa. Tra loro anche una signora di 99 anni cieca con una bella maglietta gialla e un cartello: voglio toccare la tua mano.