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Apostolato del Mare, un messaggio da Taiwan: “La schiavitù non è ancora finita”

Conferenza Internazionale Apostolato del Mare | Un momento del congresso dell'Apostolato del Mare a Taiwan, 1-7 ottobre 2017 | IHD Conferenza Internazionale Apostolato del Mare | Un momento del congresso dell'Apostolato del Mare a Taiwan, 1-7 ottobre 2017 | IHD

C’è anche il Myanmar al centro delle preoccupazione del Congresso Internazionale sulla pesca promosso dall’Apostolato del Mare. E non c’è da meravigliarsi. Il caso dei Rohingya nasce, in fondo, come un caso di pescatori rifiutati da ogni nazione, e lasciati praticamente in balia delle onde e senza patria.

Non è l’unico tema del Congresso Internazionale dell’Apostolato del Mare, che si è tenuto a Taiwan dall’1 al 7 ottobre con il titolo “Caught in the net”, presi nella rete.

Una conferenza caratterizzata dal grido di allarme dell’arcivescovo Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: “La schiavitù non è ancora finita”.

L’arcivescovo Sorondo non era il solo “alto officiale” vaticano. C’era il Cardinale Charles Bo, arcivescovo di Rangon, e il Cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale, in cui è incluso l’apostolato del mare.

Il congresso si è focalizzato specificamente sul problema della pesca. Da sempre, la Santa Sede ha avuto grande sollecitudine per i pescatori e le loro situazioni. Lo sfruttamento che vivono i pescatori rasenta la schiavitù, come ha spiegato padre Bruno Ciceri, lo scalabriniano che dirige la sezione dell’Apostolato del Mare, presentando il Congresso.

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E il Cardinale Turkson ha sottolineato nel suo intervento che sono circa 38 milioni le persone impegnate nell’industria della pesca, e soggetti ad abusi di ogni tipo, perché tutto, in fondo, resta in mare.

Lo ha notato Cristina de Castro, dalla Spagna, sottolineando come schiavitù e lavoro forzato nell’industria della pesca siano più diffusi di quel che si pensi. E il Cardinale Bo non ha esitato a puntare il dito contro “una cultura dell’indifferenza che ci evita di vedere gli schiavi marittimi e i pescatori che sono i rifugiati di oggi, e che vivono e lavorano in aree senza legge”.

Molti gli esperti che sono intervenuti in sette giorni di assise, spiegando come i pescatori a volte vivano al di sotto del livello di sussistenza.

E per questo il Congresso è terminato con un appello alle Nazioni Unite e all’Organizzazione Internazionale del lavoro, con uno sguardo alla convenzione sulla pesca che diventa effettiva a novembre e che dovrebbe aiutare a migliorare il benessere dei pescatori.

Padre Bruno Ciceri ha delineato le tre proprietà: assicurare la possibilità ai cappellani portuali di visitare i porti di pesca; aumentare il livello di guardia tra i consumatori degli abusi di diritti umani che vengono perpetuati nella catena alimentare della pesca; e stabilire una squadra che visiti le navi in Myanmar, uno dei luoghi caldi dello sfruttamento dei pescatori.

Una domanda, lanciata dal vescovo Thomas Dowd che promuove l’Apostolato del mare in Canada, sarà al centro della prossima conferenza internazionale: “Come possiamo rafforzare l’Apostolato del Mare?” Se ne discuterà a Glasgow, nel 2020, celebrando un secolo di apostolato del mare.

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