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“I cristiani in Terrasanta pensano sempre a cosa succede in Siria”

Padre Pizzaballa | Padre Pierbattista Pizzaballa parla durante il Meeting di Rimini | Meeting Rimini Padre Pizzaballa | Padre Pierbattista Pizzaballa parla durante il Meeting di Rimini | Meeting Rimini

Da Custode di Terrasanta, Padre Pierbattista Pizzaballa aveva organizzato la preghiera per la pace nei giardini vaticani. Ora, da Amministratore Apostolico di Terrasanta, straniero in una comunità cristiana prevalentemente araba, continua ad occuparsi della difficile situazione israelo-palestinese. Eppure – racconta – nonostante tutto, i cristiani di Terrasanta pensano sempre al martirio dei loro confratelli in Siria.

I cristiani in Israele parlano della situazione in Siria e in Iraq?

Sì, ne parlano continuamente. Non c’è un cristiano in Terrasanta che non parli del Daesh (un altro acronimo dell’ISIS) e di quello che vivono i loro fratelli in Siria e in Iraq. Non sono, in fondo, realtà distanti, hanno legami antichi con quei popoli. E tutte le comunità di Terrasanta esprimono solidarietà, anche in maniera concreta, con collette. Sono grati della testimonianza dei cristiani di Siria e Iraq, e si sentono incoraggiati dal loro esempio. Il modo in cui reagiscono i cristiani di Siria e Iraq incoraggia i cristiani di Terrasanta ad andare avanti con forza e coraggio, nonostante la difficile situazione che vivono.

Cambierà la situazione in Terrasanta?

Ci vorrà molto tempo. La comunità internazionale non può fare niente da sola, se non c’è volontà di farlo da parte di Israele e Palestina. E questa volontà non si vede. La società israeliana e la società palestinese sono deboli e divise e purtroppo – ma spero di sbagliarmi – non vedo all’orizzonte elementi che possano far pensare ad un cambiamento immediato.

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La situazione nei Territori Palestinesi è ormai la stessa da 50 anni. Cosa può fare la comunità cristiana?

È chiamata a fermarsi, a riflettere su questi cinquanta anni di occupazione. Riflettere sulle ferite, ma anche sulle possibilità che si continuano ad aprire su entrambi i fronti. Certo, le ferite sono ancora aperte, c’è una intera generazione che ha conosciuto la sola realtà dell’occupazione e non ha la capacità di pensare ad una vita diversa in Terrasanta. Questo è quello che ci deve far preoccupare di più. Dobbiamo lavorare per tenere viva la fiamma della speranza, anche se dirlo così fa sembrare in discorso retorico.

Da un anno, il governo israeliano ha sospeso i finanziamenti alle scuole cattoliche, situazione che ha portato diverse proteste, anche da parte del mondo islamico. Sembrava ora che un accordo fosse vicino. È così?

In Terrasanta non c’è nulla di semplice. L’accordo non c’è, e non sappiamo se sarà prossimo. C’è un negoziato in corso, ed è stato ripreso con maggiore spinta, ma l’accordo di cui si parla riguarda soltanto la prima tranche del rimborso. L’accordo generale sui finanziamenti è però molto lontano.