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Il Cardinale Van Thuan, l’uomo che ha vissuto mille croci

Un martire dei nostri tempi, un santo in vita in attesa di salire alla Gloria degli altari.

Il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan, che fu, tra le altre cose, anche presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace | Il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan, che fu, tra le altre cose, anche presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace | Foto: Wikimedia Commons Il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan, che fu, tra le altre cose, anche presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace | Il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan, che fu, tra le altre cose, anche presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace | Foto: Wikimedia Commons

Più di tutto, lo ha caratterizzato la croce. La sua croce pettorale da vescovo era ricavata dal filo spinato che aveva ricavato in carcere, dove era rimasto 15 anni. Ma era caratterizzato anche da un grande buon umore, nonostante tutto. Così lo ricordano alcune delle testimonianze della causa di beatificazione. Che ora continua con successo: manca solo un miracolo avvenuto per la sua intercessione perché il Cardinale François Nguyen Van Thuan sia proclamato beato.

Con i decreti della Congregazione delle Cause dei Santi del 4 maggio 2017, infatti, sono state approvate le virtù eroiche del Cardinale.

Il Cardinale Van Thuan (1928-2002) non può essere considerato un martire, perché non è stato ucciso in odio alla fede. Ma lo è per tanti motivi. Perché la sua vita in carcere equivale ad un vero e proprio assassinio, in odio alla fede. E perché non ha mai mancato di portare testimonianza al Vangelo, nemmeno nelle situazioni più difficili.

D’altronde, lo stesso Van Thuan veniva da una famiglia di martiri. Quando i Viet Cong conquistarono la capitale perse lo zio (che era il presidente del Vietnam) e il cugino. La famiglia del Cardinal Van Thuan era dunque una famiglia di alto livello. E lui stesso parlava correntemente sette lingue, aveva una educazione superiore che aveva affinato a Roma, dove aveva studiato diritto canonico.

Fu imprigionato nel 1975, quando i Vietcong entrarono a Saigon. Di fatto scomparve, tanto che gli amici credettero che fosse morto. Ma in realtà, faceva apostolato. Riscrivendo a memoria il breviario in piccoli fogli di carta essiccati, facendo continui sciacqui con la sua urina per non perdere i suoi denti nelle privazioni, ogni giorno il Cardinale celebrava messa con tre gocce di vino e una di acqua in una mano, e prendeva l’eucarestia con il pane fatto in piccoli biscotti che riusciva anche, attraverso una ingegnosa rete, a far distribuire anche ai carcerati, e intanto stabiliva rapporti con i carcerieri.

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Questi venivano continuamente cambiati perché non si convertissero. Alla fine, dato che lo sforzo era inutile, mantennero sempre gli stessi carcerieri, per "limitare i danni".

Viene da questi rapporti la costruzione della sua croce. Van Thuan riuscì a convincere un agente a fargli intagliare una piccola croce di legno, che nascondeva nel sapone, mentre un altro gli procurò un pezzo di filo elettrico con cui costruì una catenella, per appendere al collo la croce. Una croce che, rivestita di metallo, ha sempre penzolato al suo collo, anche dopo la nomina a cardinale.

I documenti raccolti per la fase diocesana di beatificazione contano 1650 pagine. Tra queste, la testimonianza di Silvio Daneo. Focolarino, inviato negli Anni Sessanta in Asia per aprire i primi focolari in situazioni difficilissime, Daneo ha conosciuto personalmente Van Thuan, che era completamente pervaso dalla spiritualità del focolare, tanto che non esita, nella sua testimonianza, a sottolineare che “se il Cardinale Van Thuan venisse beatificato” sarebbe da annoverare tra i santi focolarini.

Alcuni stralci di quella testimonianza aiutano a comprendere meglio il profilo del Cardinale Van Thuan. Liberato nel 1989, ma tenuto agli arresti domiciliari a 1700 chilometri dalla sua diocesi, il Cardinale Van Thuan aveva ogni tanto il permesso di recarsi a Roma, per curare la sua salute già cagionevole.

“Veniva in Italia – racconta Daneo - sempre con la terribile sospensione di non sapere se avesse poi potuto fare ritorno in Vietnam! Questa sospensione era come una spada di Damocle. Tuttavia mai una volta Mons. Van Thuan lasciò che un lamento trapelasse, oppure un giudizio negativo o un benché minimo risentimento. Non si poteva non notare il suo totale abbandono alla Volontà di Dio, pronto sempre a modificare i suoi programmi e nella più piena disponibilità”.

Nel 1990, Silvio Daneo viene destinato a dirigere il Movimento Focolari, parte maschile, a Bangkok. Si moltiplicano le occasioni di incontro con l’arcivescovo Van Thuan, che pure comincia a percepire il sentore delle autorità di cacciarlo via.

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Nella sua testimonianza, Daneo descrive le peripezie per poter incontrare il cardinale, perché “l’arcivescovo iniziava ad avere i primi sentori ed altrettante certezze della volontà delle Autorità  di cacciarlo dal Vietnam. In lui c’era però la serenità più totale. Mai un giudizio, mai un pur piccolo risentimento, un commento negativo. Era nella volontà di Dio e ad essa totalmente abbandonato sempre; ciò lui non lo affermava a parole, ma lo si poteva constatare di continuo osservandolo ed ascoltandolo”.

Ma Van Thuan non si scoraggiava. “Un’altra iniziativa – testimonia ancora Daneo - assai singolare, che Mons. Van Thuan escogitò per ricostituire la biblioteca del seminario di Hanoi, andata totalmente distrutta,  fu quella di inviare dal “Focolare” di Bangkok due libri la settimana,  con il pacchetto intestato ad una anziana suora di Hanoi, molto benvoluta dal capo dell’ufficio postale della zona che era stato suo alunno alle elementari. Così, da Roma, per iniziativa dell’arcivescovo che confezionò i pacchi lui stesso,  arrivarono decine e decine di volumi di filosofia e teologia, di spiritualità ed altri testi di studio,  che poi spedivamo regolarmente alla suora ogni settimana, fino a che tutti arrivarono a destinazione”.

Chi era il Cardinale Van Thuan? “Direi – risponde Daneo - che egli non era umile ... Era l’umiltà’! Mai ostentata, mai fatta pesare, ma vissuta come un’abitudine. Lo stesso si poteva dire per la sua carità: sempre attenta fin nei più piccoli particolari, delicata, quasi nascosta, ma vigile e costante, con chiunque! La sua fede poi era una testimonianza costante, non ne parlava mai come 'tema' su cui meditare e riflettere, ma la viveva e la dimostrava nei fatti. Una sua frase frequentissima, che usava quasi come una giaculatoria, in qualsiasi programma, o circostanza, o pianificando delle attività,  e esprimendo una speranza, era: “occorre pregare molto!”. La preghiera era perlui un “costante”, in ogni momento della giornata, non che fosse avvezzo a ritirarsi per lunghe ore di preghiera, ma la sua vita stessa era 'preghiera' e ci esortava costantemente a ‘pregare molto!’ “.

E aveva un rapporto profondissimo con Maria, cementato dal legame indelebile con le festività della Madonna: dall’arresto il giorno dell’Assunta nel 1974, al giorno del suo rilascio dal carcere, la festa della Presentazione della Beata Vergine  Maria, il 21 novembre 1988.

Ma era anche un fine umorista. “Ricordo – continua ancora Daneo - quanto ci faceva ridere quando, per esempio, imitava alla perfezione la voce del papa Giovanni Paolo II. Se si chiudevano gli occhi pareva di sentire il Papa in persona. Pur rispettoso, sempre, sapeva cogliere il lato umoristico delle caratteristiche di noti personaggi e li sapeva imitare alla perfezione”.

Daneo gli fu vicino anche negli ultimi istanti di vita, quando ormai la malattia lo aveva condannato. Ne scriveva poi sempre a Chiara Lubich, che aveva proprio con il Cardinale un rapporto profondissimo.

Tra i tanti episodi, nella memoria di Silvio Daneo ne affiora uno, un momento di buio totale e durissimo, un boccone di “vera notte dell’anima”. “Fu, forse, l’unica volta che riuscii a carpire qualcosa di quell’abisso di dolore e di angoscia spirituali che stava vivendo. Vidi in lui lo sguardo di Gesù’ Abbandonato in croce. Lo ringraziai per la sua vita. Lui mi guardò stupito, incredulo, e con forza mi chiese immediatamente: ‘Perché?!’... Pareva quasi agognasse ad una spiegazione, come a dire che sarebbe stato troppo bello se ci fosse stato qualcosa per cui poteva essere ringraziato... Tentai di dare una risposta, elencato solo alcuni degli infiniti motivi per cui dovevo ringraziarlo. Dopo di ciò, forse più per  amore nei miei confronti che per convinzione, mi rispose, con un filo di voce, ‘grazie!’”

Questo era il Cardinale Van Thuan: un martire dei nostri tempi, un santo in vita in attesa di salire alla Gloria degli altari.