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Massimiliano Kolbe, il radioamatore innamorato di Maria

Oggi la Chiesa celebra San Massimiliano Kolbe, il martire che rese meno disumano Auschwitz

San Massimiliano Kolbe | San Massimiliano Kolbe | ACI Stampa
San Massimiliano Kolbe | San Massimiliano Kolbe | ACI Stampa
San Massimiliano Kolbe | San Massimiliano Kolbe | Wikipedia
San Massimiliano Kolbe | San Massimiliano Kolbe | Wikipedia

Il suo nome da radioamatore è SP3RN. Ma tutti lo conoscono come San Massimiliano Kolbe, il “prete cattolico” morto ad Auschwitz il 14 agosto di 75 anni fa. “Un martire dell’amore”, disse di lui Paolo VI, quando lo beatificò nel 1971. “Un apostolo dei nuovi media”, lo ha descritto padre Marco Tasca, ministro generale dei Minori conventuali, quando Papa Francesco è andato ad Auschwitz e si è fermato in preghiera nella cella dove padre Kolbe morì.

Eppure, quella sigla da radioamatore racconta una storia che merita di essere raccontata. È stata messa in disparte dall’eccezionalità della vita, da quella scelta di prendere il posto di uno dei condannati nel campo perché aveva famiglia, dal modo in cui ha affrontato il martirio, confortando e consolando tutti gli altri condannati, fino alle parole dette al carceriere che gli diede la morte con una iniezione letale dopo che la fame e la sete non lo riuscivano a stroncare, a lui, pure debole, senza un polmone e malato di tisi: “Lei non ha capito niente della vita… l’odio non serve a niente… solo l’amore crea”.

In quella sigla c’è l’essenza di una vita fatta per l’evangelizzazione. Una evangelizzazione viva, portata avanti attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Aveva avuto una apparizione della Madonna quando aveva dieci anni, e da allora si era impegnato moltissimo a portare avanti questo carisma. Una rivista da lui fondata, “Il Cavaliere dell’Immacolata”, raggiunse presto la diffusione di 1 milione di copie.

E allora trasportò la sua esperienza da missionario in Giappone. Nel 1927, vicino Varsavia, aveva fondato Niepokalanow, la “Città dell’Immacolata”, che divenne presto uno dei più grandi conventi di Europa, con quasi mille frati a popolarlo. Fece lo tesso in Giappone, dove arrivò nel 1930 e fondò il conventò-città Mugenzai no Sono (“Giardino dell’Immacolata”), con una versione in giapponese della rivista.

Giovanni Paolo II visitò questo convento durante il suo viaggio in Giappone nel 1981. Ai frati che popolavano il convento, San Giovanni Paolo II ricordò che padre Kolbe “quando arrivò in Giappone nel 1930, egli volle immediatamente realizzare, in un ambiente giapponese, ciò che aveva scoperto come sua missione speciale: promuovere la devozione alla Vergine ed essere strumento di evangelizzazione attraverso la parola stampata”.

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Insomma, “fondare la ‘Città dell’Immacolata’ e pubblicare il ‘Seibo No kishi’ costituirono per lui le due parti di un medesimo grande disegno: portare Cristo, il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, a tutte le genti. Conoscete come i suoi sforzi non furono contrassegnati o limitati dal calcolo umano, ma portati avanti dalla sua instancabile fiducia nella Divina Provvidenza. Dio non ha reso vana questa fiducia. Il progetto che egli qui iniziò, in una vecchia stamperia, ha ora acquistato una nuova impensata dimensione: la forza ispiratrice che fluisce dal suo sacrificio”. 

E quel convento è stato protagonista di uno dei “miracoli della bomba atomica”. Perché nel dramma di Hiroshima e Nagasaki ci sono stati vari episodi praticamente miracolosi, e tutti legati a Maria. Fu per una circostanza incredibile che il convento fondato da padre Kolbe non venne distrutto dall’esplosione della bomba atomica nel 9 agosto 1945. Il convento sorgeva alla falde del monte Hikosan, perché lì lo volle padre Kolbe, contro i consigli di quanti suggerivano un’altra posizione. Ebbene, quando la bomba fu lanciata, il convento fu protetto proprio dall’interposizione del monte Hikosan. E fu così che divenne poi rifugio per molti dei cosiddetti “orfani di Nagasaki”.

Padre Kolbe era già tornato in patria, nella cittadella da lui fondata, aveva ospitato ebrei e rifugiati, e per questo era stato arrestato due volte, fino ad essere internato nel campo di Auschwitz con il numero 16670. Non aveva smesso di cercare nuovi mezzi di diffondere la parola di Dio, e si era dedicato alle trasmissioni radio. Nel 1938, solo tre settimane prima di essere deportato, aveva ottenuto il nominativo di radioamatore SP3RN. Poi, fu chiamato “a servire la Madonna in un altro modo”, secondo le sue parole”.