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Myanmar, oggi il Papa dai gesuiti. E ce n’è uno che è proprio di là

Padre Wilbert Mireh, sj | Padre Mireh con madre e fratello il giorno dell'ordinazione, maggio 2013 | Jesuit Asia Pacific Conference Padre Wilbert Mireh, sj | Padre Mireh con madre e fratello il giorno dell'ordinazione, maggio 2013 | Jesuit Asia Pacific Conference

In più di 470 anni di storia, mai i Gesuiti avevano avuto un sacerdote proveniente dal Myanmar. Fino a quando, nel maggio 2013, fu ordinato padre Wilbert Mireh. Oggi, a 39 anni, padre Mireh è direttore del Campion Institute, e lavora nella sua parrocchia di Loikaw. Ci sarà anche lui nel gruppo di una trentina di gesuiti che incontrano Papa Francesco oggi a Yangon, in uno degli ultimi incontri del Papa poco prima della sua partenza per il Bangladesh.

Parlando con ACI Stampa, padre Mireh sottolinea che "essere il primo gesuita ordinato del Myanmar è un dono di Dio alla società di Gesù, che è stata invitata a tornare nella nazione dopo la precedente espulsione ad opera del regme militare negli anni Sessanta".

Aggiunge che "nonostante la mia indegnità, ho risposto alla chiamata di Dio e ho cercato di integrarla fedelmente come parte della mia vita di ogni giorno". 

Per quanto riguarda le priorità dei gesuiti nel Myanmar, padre Mireh spiega che "la priorità della Compagnia di Gesù negli ultimi dieci anni è stata la formazione dei gesuiti locali". Attualmente - prosegue - la compagnia "si impegna anche in altri ministeri, nel campo dell'apostolato sociale, educazionale, spirituale e sociale. Sono tutti campi in cui la Compagnia è all'inizio".

Padre Mireh sottolinea che "la sfida è quello di dare la priorità ad ogni ministero in modo realista", perché la nazione ha "immensi bisogni, ma pochi uomini a disposizione e poche risorse, mentre i cattolici sono solo l'1 per cento della popolazione totale". 

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I gesuiti - spiega ancora - "condividono la gioia delle persone nell'accogliere con tutto il cuore la visita di Papa Francesco, specialmente in questo tempo di grandi sfide e tristezze".

Allo stesso tempo  conclude padre Mireh - la visita del Papa rappresenta "la chiamata del Signore ai Gesuiti in Myanmar proprio mentre sono in una situazione simile a quella dei primi gesuiti, che hanno fatto un grande discernimento della volontà di Dio  mentre aspettavano le navi a Venezia".

La presenza dei gesuiti in Myanmar risale già ai primi anni della società fondata da Sant'Ignazio di Loyola. Missionario nelle terre dell’Estremo Oriente, Francesco Saverio scrisse ad Ignazio chiedendo appunto di inviare gesuiti nel regno di Pegu, che oggi è parte dell’attuale in Myanmar.

I gesuiti vi andarono, e vissero nella zona che oggi è chiamata Mandaly fino a quando furono costretti a lasciare la zona. I cristiani, però, vi rimasero. La missione dei gesuiti riprese su impulso della provincia del Maryland, che mandò sacerdoti della compagnia in Myanmar negli Anni Cinquanta e nei primi Anni Sessanta.

Negli anni Novanta, poi, numerosi vescovi, già alunni dei gesuiti del Maryland, chiesero personalmente al generale, padre Hans Kolvenbach, il ritorno di sacerdoti della Compagnia nel paese. Vi tornarono, infatti, nel 1998 e da allora hanno iniziato numerose opere apostoliche e aperto anche un noviziato. Ci sono attualmente 32 gesuiti in Myanmar, la maggior parte dei quali sono giovani in formazione, impegnati nell’apostolato o negli studi all’estero.

I gesuiti del Maryland gestivano il seminario maggiore, e ci sono due gli studenti di quel seminario ad essere diventati vescovi: Matthias U Shwe, di Taunggy, e il vescovo Sotero di Loikaw. Entrambi hanno lavorato moltissimo per facilitare il ritorno della Compagnia nel territorio della ex Birmania.

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Padre Mireh ha fatto il suo noviziato a Taunggyi nel 2000, e poi ha proseguito la sua esperienza pastorale nella diocesi di Loikaw, fino ad essere ordinato sacerdote nel 2013.

Il momento della sua ordinazione è stato descritto come “il momento in cui la Società di Gesù è finalmente venuta in vita in Myanmar”, perché secoli si è pregato per un sacerdote che provenisse dalla nazione.

“Tanto tempo fa – ha raccontato padre Wardi Saputra, che è andato in Myanmar dall’Indonesia nel 1998 – il vescovo U Shwe mi chiedeva quando ci sarebbe stato un gesuita in Myanmar. E il momento è arrivato”.

L’ordinazione di un gesuita del Myanmar è considerato un beneficio per tutta la Chiesa locale. “Soprattutto, l’aggiunta di un sacerdote gesuita locale ci darà grandi benefici – ha spiegato Padre Irsan Rimawal, maestro dei novizi – perché prima di tutto le persone del luogo conoscono meglio degli stranieri la cultura e la loro situazione”.

L'evangelizzazione della Birmania - oggi Myanmar - inizia intorno ai primi anni del XVI secolo, i primi missionari sono attestati nel luogo nel 1511. La presenza di missionari – domenicani, francescani e gesuiti – diventa sempre più radicata, tanto che nel 1648 Propaganda Fide cerca di fondare una vera missione, che affida prima ai cappuccini, poi alle Missioni Estere di Parigi e infine, dopo l’insuccesso delle due imprese, divide nel 1806 la Birmania in tre vicariati, con confini abrogati e ridisegnati nel 1860.

Sette anni dopo, arrivano i missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere, che contribuiscono alla fondazione di una arcidiocesi e cinque diocesi.

La Chiesa non ha vissuto comunque tempi facili. I missionari del Maryland se ne devono andare all’inizio degli anni Sessanta, quando il generale Ne Win instaura una dittatura militare di stampo socialista che, attraverso ricambi nella leadership, guida il Paese fino al 2010.

Durante questo tempo, le scuole cattoliche vengono nazionalizzate e tutti i missionari giunti dopo l'indipendenza dal Giappone (1948) vengono espulsi. Il dittatore intende dar vita a un "socialismo birmano ispirato al buddismo", su base atea e totalitaria; nel 1964-1965 il governo requisisce tutte le scuole e le opere sanitarie delle missioni cristiane e nel 1966 espelle i missionari stranieri più giovani, entrati dopo l'indipendenza il 4 gennaio 1948. Le diocesi passano subito quasi tutte a vescovi locali, eccetto Taunggyi. In tutto vengono espulsi, tra preti e suore, 232 cattolici e 18 protestanti. 

Le persecuzioni del regime non hanno fermato però la crescita della Chiesa locale. Secondo dati del 2014, la Chiesa locale è composta da 16 diocesi, oltre 750 sacerdoti, 2500 religiosi fra suore e frati, un numero di fedeli attorno ai 750mila circa, pari all'1,3% del totale della popolazione, con una particolare incidenza fra le minoranze etniche e nelle aree tribali.