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Pacem in Terris, una utopia in cammino

Giovanni XXIII - arazzo della canonizzazione |  | da Flickr Giovanni XXIII - arazzo della canonizzazione | | da Flickr

La Pacem in Terris compie 52 anni, e mai è sembrata così attuale. Perché ci sono, nell’enciclica di Papa Giovanni (la sua ottave e ultima), i riferimenti al disarmo, ai rapporti tra le nazioni, alla politica. Ma tutto deriva dall’uomo, dal suo sviluppo integrale, dal fatto che ogni essere umano è “persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera”, e perciò “è soggetto di diritti e doveri, che sono perciò universali, inviolabili e inalienabili”. “Che poi – aggiunge Papa Giovanni – “se si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo”. (Pacem in Terris, 5).

Una visione profetica difficile da apprezzare in appieno. È passato ancora poco tempo. Ma quando uscì, l’enciclica indirizzata ai fedeli e “a tutti gli uomini di buona volontà, sulla pace fra tutte  le genti nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà” non capita. Anzi, fu accusata di astrattezza, persino abbassata al rango di “una paterna esortazione del Papa buono”. Eppure questa enciclica ha offerto la struttura portante che ha fatto sì che la Chiesa si impegnasse direttamente nelle questioni globali per gli anni che sarebbero venuti. La Pacem in Terris  è una utopia in cammino, da applicare allo scenario internazionale, per comprenderlo e sviluppare quello “sviluppo umano integrale” che è al centro della Dottrina Sociale della Chiesa.

Perché la Pacem in Terris è ancora attuale?

Perché mette al centro quei diritti umani che sono ancora motivo di dibattito a livello internazionale. L’ordine tra gli esseri umani, che si basa su diritti e doveri, è messo a dura prova dall’affermazione dei cosiddetti “nuovi diritti”. Perché sostiene che questi diritti umani vadano promossi. Una visione che è sempre presente nel momento in cui la Santa Sede negozia i trattati internazionale. L’educazione ai  diritti umani è l’unico modo in cui l’utopia di Papa Giovanni può realmente concretizzarsi. Perché già in quel tempo metteva in luce la necessità di una riforma delle Nazioni Unite, perché “arrivi un giorno nel quale i singoli esseri umani trovino in essa una tutela efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone.

Ma soprattutto, la Pacem in Terris è ancora attuale perché lega questa visione direttamente alla rivelazione divina e al diritto. C’è una visione di fondo, che è quella che ancora oggi muove l’attività internazionale della Santa Sede.

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La Pacem in Terris, fondata sui diritti umani

Stabilendo che ogni essere umano è “persona, cioè una natura dotata di intelligenza e volontà libera”, Papa Giovanni sottolinea che per questo è soggetto di diritti e doveri. Diritti e doveri che si delineano in quattro gradi di sussidiarietà: dall’ordine tra gli esseri umani a quello che riguarda anche le comunità politiche e la comunità mondiale, passando attraverso i gradi intermedi dell’ordine tra gli esseri umani e le pubbliche autorità e l’ordine tra le comunità politiche.

A scorrere i temi della Pacem in Terris si trovano molte (se non tutte) delle questioni contemporanee. Per esempio, l’ordine tra gli esseri umani ha un impianto concettuale per cui i diritti naturali sono legati al dovere di ogni persona di riconoscere e rispettare quei diritti. E tra questi diritti, c’è quello della “libertà della ricerca del vero, della manifestazione del pensiero e nella sua diffusione”, il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza, il diritto al culto di Dio privato e pubblico.

È la libertà religiosa, legata indissolubilmente alla libertà di coscienza (e il tema dell’obiezione di coscienza è fondamentale nel dibattito di oggi).

Di stringente attualità è il diritto all’esistenza, che nella Pacem in Terris è connesso con il dovere di conservarsi in vita. Un diritto spesso negato, anche in maniera strisciante. Ad esempio, la risoluzione “Mortalità e morbilità materna prevedibile e i diritti umani”, adottata il 21 settembre 2012 dal Consiglio dei Diritti dell’Uomo presso le Nazioni Unite, aprirebbe in maniera subdola a un nuovo “diritto all’aborto”. La risoluzione non ha nessun accesso espresso all’aborto. Però la  fa cenno esplicito ad una Guida Tecnica elaborata dall’alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, nella quale si segnalava la garanzia dei “diritti alla salute sessuale e riproduttiva”, in modo che in ogni piano nazionale sia “realmente assicurato l’accesso universale” a “interventi essenziali per migliorare la salute materna”, come “servizi di pianificazione familiare”, “gestione delle gravidanze inattese, includendo l’accesso a servizi di aborto sicuro, dov’è legale, e cura post aborto”. E tutti gli Stati sono responsabili di dover assicurare servizi “disponibili, accessibili, accettabili e di qualità”. In pratica, una moral suasion verso il diritto all’aborto. Di cui abbiamo avuto esempio anche in Europa, con le recenti relazioni Panzeri e Tarabella.

È questo l’approccio verso i nuovi diritti, considerato inaccettabile già da Giovanni XXIII. “Certo non può essere accettata come vera la posizione dottrinale di quanti erigono la volontà degli esseri umani, presi individualmente o comunque raggruppati, a fonte prima ed unica donde scaturiscono diritti e doveri, donde promana tanto l’obbligatorietà delle costituzioni che l’autorità dei poteri pubblici” (Pacem in Terris, 45)

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Senza guardare così lontano, ci sono altre conseguenze dirette di questa tensione della Pacem in Terris per i diritti umani. Sulla scorta dell’enciclica, il Concilio Vaticano II dichiarò che il Vangelo è la salvaguardia più sicura della “personale dignità e libertà dell’uomo”, e annunciò la promozione dei diritti umani come uno dei due servizi principali che la Chiesa cattolica rende al mondo (Gaudium et spes 41).

La Pacem in Terris e la promozione dei diritti umani

Scrive Papa Giovanni: “Come il bene comune delle singole comunità politiche, così il bene comune universale non può essere determinato che avendo riguardo alla persona umana. Per cui anche i poteri pubblici della comunità mondiale devono proporsi come obiettivo fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona: con un’azione diretta, quando il caso lo comporti; o creando un ambiente a raggio mondiale in cui sia reso più facile ai poteri pubblici delle singole comunità politiche svolgere le proprie specifiche funzioni”. (Pacem in Terris 43)

Non basta sostenere l’inviolabilità dei diritti umani sulla base della legge naturale. Va promossa proprio una nuova visione. Si educa alla pace educando ai diritti della persona. Anche perché la comprensione nasce dalla formazione permanente, come aveva sottolineato Benedetto XVI nell’incontro con il clero di Roma del 14 febbraio, parlando del Concilio: “Quando le Scritture sono tradotte e lette nella lingua corrente, non significa che vengano automaticamente comprese. C’è bisogno di formazione, di una riflessione continua perché queste vengano sempre meglio capite, vissute e applicate”.

È l’approccio che la Santa Sede porta in tutti i negoziati internazionali, perché la pace non è semplicemente l’assenza di guerra, ma è un equilibrio, un ordine tra gli esseri umani che va raggiunto.

Uno degli ultimi esempi c’è stato nelle negoziazioni del 2012 per il Trattato Mondiale sul Commercio delle Armi. L’approccio dell’allora Osservatore Permanente della Santa Sede all’ONU Chullikat è stato quello di non mostrare semplicemente le lacune del Trattato, ma di chiedere di inserire all’interno del Trattato riferimenti a “processi educativi e programmi di coscientizzazione”, che coinvolgano tutti i settori della società”

La Pacem in Terris e la riforma delle Nazioni Unite

Quando si parla di una “autorità mondiale con competenze universali”, ci si deve sempre ricordare che l’idea viene direttamente dall’enciclica di Giovanni XXIII. Ben consapevole dei processi di trasformazione della società, il Papa vedeva chiaramente come gli squilibri mondiali (da lui puntualmente delineati nella sua precedente enciclica Mater et Magistra) avrebbero portato a un nuovo disordine mondiale.

A questo proposito, Papa Roncalli scriveva: “Una deviazione, nella quale si incorre spesso, sta nel fatto che si ritiene di poter regolare i rapporti di convivenza tra gli esseri umani e le rispettive comunità politiche con le stesse leggi che sono proprie delle forze e degli elementi irrazionali di cui risulta l’universo; quando invece le leggi con cui vanno regolati gli accennati rapporti sono di natura diversa, e vanno cercate là dove Dio le ha scritte, cioè nella natura umana. Sono quelle, infatti, le leggi che indicano chiaramente come gli uomini devono regolare i loro vicendevoli rapporti nella convivenza; e come vanno regolati i rapporti fra i cittadini e le pubbliche autorità all’interno delle singole comunità politiche; come pure i rapporti fra le stesse comunità politiche; e quelli fra le singole persone e le comunità politiche da una parte, e dall’altra la comunità mondiale, la cui creazione oggi è urgentemente reclamata dalle esigenze del bene comune universale. (Pacem in Terris 4)

La necessità di orientare le istituzioni internazionali verso il bene comune è dettata dalla necessità stessa di difendere l’essere umano e permettergli di perseguire lo sviluppo umano integrale.

Papa Giovanni parla delle Nazioni Unite e sottolinea che “un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà”.

Il preambolo che Papa Giovanni citava vedeva i firmatari della dichiarazione decisi a “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”. Il fatto che venga usata la parola “fede” è indicativo. La fede indica un dato irrinunciabile e incontestabile. L’Onu si base sulla fede sull’uomo. Una fede che tutti i popoli possono condividere, qualunque sia la loro estrazione religiosa.

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La Pacem in Terris e la rivelazione divina

E questo si lega con la questione veramente attuale di questa enciclica. E cioè che tutta la codificazione di diritti e doveri dell’essere umano, il suo rapporto con l’autorità pubblica, il rapporto dell’autorità pubblica con le organizzazioni internazionali, la necessità di superare gli squilibri (perfino quelli della coltivazione della terra), tutto, insomma, è fondato sulla rivelazione di Dio creatore e del suo rapporto con l’essere umano.