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Pensiero giuridico e valori non negoziabili nella Filosofia del diritto del Beato Rosmini

Il Beato Antonio Rosmini |  | Wikimedia pubblico dominio Il Beato Antonio Rosmini | | Wikimedia pubblico dominio

L’uomo è sempre stato al centro dell’orizzonte filosofico e culturale del mille ed ottocento seppur con particolari connotazioni e sfumature. Infatti è sufficiente leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni oppure le Mie prigioni di Silvio Pellico per accorgersi dell’attenzione che legava la cultura ai grandi temi dell’esietenza umana. Queste oprere sono state edite proprio in questo secolo in ccui era in vigore in tutta Europa una forte componente culturale e storica.

Ciò lo si conferma, appieno, leggendo la Filosofia del diritto del filosofo e sacerdote Antonio Rosmini. In quest’opera composta tra il 1841 ed il 1845, il filosofo roveretano vuole compiere un grande lavoro di analisi e valutazione delle principali questioni filosofiche, lette però, con sguardo giuridico.
Persona, istituzione e valori metagiuridici sono alla base della sua ricerca.

Difatti una filosofia, per essere tale, si deve ispirare al Bene, inteso in senso assoluto, guardando a valori condivisi che poggino le loro basi su principi immutabili. In ciò il filosofo è altamente chiaro: lo scopo del testo è quello di riformare la il modus pensandi della società proprio partendo dalle questioni, morali e giuridiche, che toccavano il suo secolo.

Il Rosmini, è utile osservare che visse a ridossso della Rivoluzione Francese e delle teorie illuministe che ancora impersversavano, nell’Europa nord continentale. Siamo all’epoca dell’esaltazione della dea ragione, che svuotava ogni possibile utilità al concetto di intelligenza subordinandola ad un concetto a base filosofica e positivistica. In questo processo logico, il Rosmini comprende che la sola ragione non è in grado di dare quel soffio di umanità alla norma giuridica. Pertanto ratio e contenuto, dovranno seguire metodi ed impostazioni scientifiche, ma il cuore della regola giuridica dev’esser ispirato a qualcosa di più grande e di più vero che sono proprio i principi della morale cattolica. In questo non c’è alcuna affermazione pietisitica, in quanto il celebre autore, segue per valori cristiani quelli che toccano l’uomo in rapporto con l’Assoluto e non principi metafisici astrusi e teorici.

Con quest’opera, anche e forse passata sotto silenzio, si riapre il discorso che lega il diritto alla vita e la stessa alle domande di libertà che essa le pone.

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Sembra attualissimo il testo nel quale si racchiudono tutte queste affermazioni che ovviamente non possono toccare le ultime questioni di bioetica e teconologia per ovvie ragioni spazio temporali, però sembrano affermare che una legge senza vita non può esistere in nessuna società che non solo si dice tale ma che ha la pretesa di considerarsi giusta.

Oggi si parla di “valori non negoziabili" nella cara espressione di papa Benedetto XVI ed all’epoca del filsofo gli stessi si contenevano nella dicitura di “principi morali”. Ma il contenuto è lo stesso: la difesa ad una esistenza libera e dignitosa dell’uomo.

E su tale punto appare utile leggere come nell’enciclica Caritas in veritate il citato Potenfice, affermando il contenuto della legge in questo principio teologico scrive, con evidente precisione che "La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l'insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa — ammaestrata dal Vangelo — la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (cfr 1 Gv 4,8.16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, « Dio è carità » (Deus caritas est): dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza".

Tale ricerca affettiva oltreche giuridica è presente in tutta le affremazioni della dottrina sociale della Chiesa in cui il discorso si snoda sempre più nelle grandi componenti teleologiche legate al valore ed all’indissolubilità della nostra esistenza in quanto diretta promanazione che promana direttamente da Dio.

In conclusione l’opera del Rosmini risulta essere una pietra miliare in tali settore in quanto mette in evidenza l’utilità dello scehma giuridca nella salvaguardia della società e della persona.