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Albania: dopo il regime senza Dio, una Chiesa che è approdo di speranza

Papa Francesco e i vescovi di Albania | Papa Francesco incontra i vescovi albanesi in visita ad limina, 30 maggio 2017, Palazzo Apostolico | L'Osservatore Romano / ACI Group Papa Francesco e i vescovi di Albania | Papa Francesco incontra i vescovi albanesi in visita ad limina, 30 maggio 2017, Palazzo Apostolico | L'Osservatore Romano / ACI Group

Non era solo un regime ateo, era piuttosto un regime anti-teista quello che per cinquanta anni ha colpito l’Albania. Eppure, la fede è rimasta. E oggi, nonostante i problemi finanziari e la mancanza di sacerdoti, la Chiesa è un punto di riferimento imprescindibile per la società. È questo il ritratto della Chiesa di Albania che i vescovi del Paese hanno portato nell’incontro con Papa Francesco per la loro visita ad limina.

I contenuti dell’incontro – durato un’ora e mezza – sono stati rivelati ad ACI Stampa dall’arcivescovo George Anthony Frendo, di Tirana. Missionario maltese, da trent’anni a Tirana, ha visto il mondo dopo il regime di Enver Hoxha svegliarsi, le religioni riprendere il loro posto nella vita pubblica, la gente ricominciare a sperare.

Quali sono le sfide che avete presentato a Papa Francesco?

Principalmente, abbiamo presentato due sfide. La prima: il problema finanziario. La Chiesa albanese è molto povera. Non ci sono risorse. La seconda sfida: la mancanza dei sacerdoti. A Tirana, ad esempio, c’è una popolazione cattolica sempre in aumento, perché in molti si trasferiscono nelle città. La mia arcidiocesi ha 150 mila cattolici, e solo 30 sacerdoti. Quando faccio le visite pastorali nelle periferie, dove c’è anche più povertà, sento una grande pena quando mi chiedono di mandare loro un sacerdote. Ho mandato un appello a diverse diocesi per avere sacerdoti. Ho trovato purtroppo porte chiuse. Spero che troviamo sacerdoti disposti a venire in questo Paese.

Il Papa cosa ha risposto?

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Per la questione finanziaria, ha detto che parlerà con gli organi competenti. Per quanto riguarda il problema dei sacerdoti, ci ha incoraggiato a cercare nelle diocesi dove ci sono più vocazioni. Si parla di crisi di vocazioni. Io penso purtroppo che c’è anche una crisi di vocazione missionaria. Ci sono sacerdoti che possono offrire il loro servizio ad un Paese di missione. Ma manca il coraggio per accettare questa visione missionaria.

Nel settembre 2014, Papa Francesco ha visitato Tirana. Quale è stato l’impatto della visita?

Ha avuto un impatto forte per gli albanesi, e anche Papa Francesco è rimasto molto colpito dall’accoglienza. C’erano molti giovani, e quelli che gremivano la grande piazza dove è stata celebrata la Messa non erano solo cattolici. Anzi, la maggioranza era di non cattolici – ortodossi e musulmani che hanno sentito il bisogno e il desiderio di incontrare il Papa.

E ci sono stati riscontri concreti?

Dopo la visita del Papa, abbiamo avuto diverse persone adulte che volevano avere il Battesimo. Così, quell’anno abbiamo avuto 100 catecumeni. Ho detto scherzando al Papa di “venire di nuovo per avere altri 100 catecumeni”.

Qual è l’importanza della Chiesa cattolica in Albania?

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La Chiesa cattolica fa il 15 per cento della popolazione, ma gode di grande rispetto, benché sia una minoranza. Questo rispetta deriva dal fatto che è stata la più perseguitata sotto il comunismo, la più odiata, perché non ha fatto nessun compromesso con il regime. Un’altra ragione è che la Chiesa cattolica, in momenti di urgenza, di certe calamità e situazioni difficili, ha aiutato tutti, non solo cattolici, indipendentemente dalla loro religione.

Colpisce che ci sia così tanta fede in Albania dopo 50 anni di regime ateo?

Non si trattava di ateismo, ma antiteismo. Era una guerra contro Dio. Un libro molto interessante diceva che “Hanno cercato di uccidere Dio”. Questo titolo esprime proprio l’ideologia comunista. Basta dire che ogni pratica religiosa, non solo pubblica ma anche in privato, era condannabile con diversi anni di galera. Era una situazione incredibile. Quando sono arrivato nel Paese da Malta, mi ha colpito che nonostante la propaganda antiteista la fede del popolo era ancora viva. Il popolo albanese è profondamente religioso. Ha una religiosità popolare che deve essere evangelizzata, educata, maturata, ma di natura è un popolo molto religioso.

Il Papa fu accolto in un viale con le foto dei martiri disposte in un lungo percorso. Lo ha colpito? Ve ne ha parlato?

Sì, al Papa fece molta impressione il boulevard decorato con le fotografie dei martiri. Io l’avevo incontrato quell’anno, e all’inizio dell’anno, a gennaio 2014. Gli dissi: “Santità, prima di partire per l’Albania, molti hanno insistito di persuaderla di venire in Albania”. E lui rispose: “Sì, ma ho tante richieste”. Dopo tre mesi, è venuto il primo ministro ha fatto la stessa richiesta, e per motivare la richiesta ha cominciato a parlare della persecuzione. Il Papa ha detto che ci avrebbe pensato. E poi è venuto.

Un tempo era un martirio sperimentato con la violenza, oggi c’è un altro martirio, quello della marginalizzazione. È un problema che viene vissuto in Albania?

L’Albania non è escluso da questa mentalità troppo secolarizzata e consumistica, questo si vede in Albania. Ma devo dire che oltre il fatto che abbiamo un bel numero di adulti che cercano di essere battezzati, ci sono molti giovani credenti, tra i 18 e 40 anni. Questo ci dà coraggio, ci dice che la religione è viva.

E perché in tutta Europa mancano i giovani credenti, e in Albania no?

Perché per i giovani albanesi la Chiesa è un segno di speranza. Il Papa ci ha indicato la strada per presentare una visione genuina del Vangelo, proclamando la gioia dell’annuncio, senza moralismo, senza casistica. Dobbiamo presentare sempre la parola di Gesù Cristo come un buon annunzio. Anche i giovani trovano un senso nella pratica cristiana.

Cosa può insegnare la piccola Chiesa albanese alle grandi Chiese di Europa?

Che la vita non ha senso se esclude Cristo. Questo è il messaggio più importante. È un Paese che ha fatto l’esperienza di una società senza Dio. Neppure quell’esclusione di Dio ha creato un vuoto. Vero che i giovani di oggi non hanno avuto l’esperienza personale del comunismo, sono passati 26 anni da quando è caduto il comunismo in Albania, ma sanno bene che cosa voglia dire la società senza Dio. Dopo la caduta del comunismo si è creato un vuoto anche riguardo l’ordine sociale…

Si spieghi…

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Il comunismo ha fatto un lavaggio del cervello, insegnando che Dio non esiste, e Dostoevsky disse che se Dio non esiste posso fare tutto. L’ordine nella società albanese era così dato solo dal terrore. Non uccido, non rubo perché siamo uno Stato dittatoriale. Caduto il comunismo, non è rimasto nessuna base per l’ordine sociale. C’era il pericolo di una società anarchica, amorale. Ma come ho detto la fede del popolo non era uccisa, distrutta dal comunismo. E perciò vedono nella fede la base per una società più umana, più solidale più fraterna: questo offre la Chiesa cristiana.

Il Papa vi ha dato suggerimenti?

Ci ha dato tre suggerimenti. Ci ha chiesto prima di tutto di lavorare per le vocazioni sacerdotali, perché Dio continua a chiamare, manca il coraggio di tanti giovani chiamati per dire sì al Signore. Cerchiamo di creare più senso, ci impegniamo più per lavoro a favore delle vocazioni.

Il secondo suggerimento?

Di essere più vicini ai giovani, perché dai giovani dipende il futuro della Chiesa e come sapete il prossimo sinodo avrà come tema i giovani e l’evangelizzazione. Noi ne eravamo consci, tanto che avevamo suggerito un tema per il sinodo “Giovani ed Evangelizzazione”. Cerchiamo di essere più vicini ai giovani, di considerarli non solo come oggetto del nostro impegno pastorale, come soggetti di persone che hanno responsabilità e maturità per essere leader nella comunità cristiana”.

E il terzo?

Ci ha detto di fare attenzione alla mondanità, perché anche noi vescovi e sacerdoti possiamo essere anche senza accorgercene oggetto di questa mentalità materialista, consumista, e dobbiamo ricordare che siamo ministri della Chiesa povera per i poveri.