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Il Papa in Egitto? L’invito formale c’è

Papa Francesco e i vescovi copti | Papa Francesco incontra i presuli della Chiesa patriarcale copta di Alessandria d'Egitto, 6 febbraio 2017  | L'Osservatore Romano / ACI Group
Papa Francesco e i vescovi copti | Papa Francesco incontra i presuli della Chiesa patriarcale copta di Alessandria d'Egitto, 6 febbraio 2017 | L'Osservatore Romano / ACI Group
Emmanuel Bishay | Il vescovo di Luxor Emmanuel Bishay  | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Emmanuel Bishay | Il vescovo di Luxor Emmanuel Bishay | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

C’è anche l’invito formale, e quando vuole il Papa può staccare un biglietto per l’Egitto. L’invito lo hanno presentato per iscritto i vescovi della Chiesa Patriarcale di Alessandria dei Copti, arrivati in visita ad limina. Il Papa li ha incontrati la scorsa settimana. Tra loro Emmanuel Bishay, vescovo di Luxor, una delle diocesi più grandi in Egitto. Ha preso il nome di “Emmanuel” (i copti cambiano nome quando hanno dignità episcopale) perché “c’è bisogno dell’aiuto di Dio, e Emmanuel significa Dio con noi”. E ad ACI Stampa racconta i temi della conversazione aperta – di almeno ore – avuta con Papa Francesco lo scorso 6 febbraio.

Come è stato l’incontro con Papa Francesco?

È stato un momento meraviglioso. Nelle visite ad limina non ci sono più i discorsi, ed è un momento in cui si vive la comunione ecclesiastica. Il Papa ci ha dato il benvenuto, e poi ognuno di noi ha potuto raccontare la propria esperienza in diocesi. Mi ha ricordato quel brano del Vangelo in cui Gesù, dopo aver inviato i discepoli, parla con ciascuno e ascolta la loro esperienza.

Di cosa ha parlato Papa Francesco?

Dopo averci ascoltato, ci ha incoraggiato ad andare avanti nella nostra missione nella Chiesa e al servizio della società egiziana, con un particolare riferimento all’educazione e al dialogo. Con le sue parole, ci ha fatto capire ancora di più la larghezza di cuore della Chiesa cattolica che abbraccia tutti, e ha sottolineato ancora una volta che la Chiesa sia “povera per i poveri”, e ha messo in luce che c’è una povertà spirituale e una povertà materiale. Abbiamo parlato anche dei frutti dell’Anno della Misericordia, e della vita quotidiana della Chiesa in Egitto. Oltre ad incoraggiarci nella nostra missione, il Papa ha anche detto che in alcune diocesi più grandi sarebbe opportuno avere un vescovo ausiliare. Noi lo abbiamo invitato a visitare l’Egitto.

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Un invito formale?

Sì, un invito formale, per iscritto. Che fa seguito a quello già arrivato dal presidente della Repubblica, ma anche da Ahmed el-Tayeb, il Grande Imam di al Azhar, e dai nostri vescovi. Ma questa volta è stato presentato un invito più formale.

Quali sono i problemi che affronta la Chiesa in Egitto?

Sarebbe difficile spiegare le situazioni particolari, ogni vescovo ha raccontato la sua peculiare esperienza in diocesi. In generale, i nostri vescovi cercano di essere molto vicini sia al clero sia ai fedeli. L’Egitto sta attraversando momenti difficili, e la Chiesa aiuta a superare questi problemi. Uno di questi problemi è il terrorismo. Gli egiziani sono molto attenti, sanno che il terrorismo vuole minare l’unità del Paese, la nostra vita condivisa con i nostri fratelli musulmani. Attaccare questa unità significa cercare di creare dei problemi a livello religioso. La Chiesa, dal canto suo, ha dato prova di equilibrio, di cura: nessuna reazione c’è stata nei confronti della comunità musulmana. Anche lo Stato comprende pienamente il problema. Le chiese bruciate sono poi restaurate dallo Stato, e per la prima volta un presidente ha passato la notte di Natale in una Chiesa cristiana.

A proposito di terrorismo, a febbraio dello scorso anno 21 copti ortodossi sono stati decapitati su una spiaggia in Libia. Come la comunità dei fedeli in Egitto ha reagito alla notizia?

Da una parte, è una ferita che resta non solo nella società egiziana, ma nel mondo intero. È una guerra che vive della strumentalizzazione delle religioni: non si può uccidere in nome di Dio, mai! D’altra parte, la comunità è stata molto colpita nel trovare persone disposte a dare la vita per la propria fede. Il loro esempio ha dato coraggio e forza a tutti noi. Invece di creare divisioni nel Paese, il loro messaggio ha creato maggiore unità. Non si parla di sangue cristiano versato, ma di sangue egziano versato.

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I cristiani comunque in Egitto vivono dei problemi, tra cui la difficoltà nell’ottenere i permessi nel costruire chiese. È ancora così difficile costruire chiese in Egitto?

Qualche mese fa, è stata approvata la legge che regolamenta la costruzione delle chiese, il restauro delle chiese, il diritto ad avere dei luoghi di culto nei posti dove non ci sono chiese. Attendiamo che questa legge sia ben capita e applicata.

Come procedono le relazioni ecumeniche tra copti cattolici e copti ortodossi?

C’è un’aria molto positiva, il Patriarca Tawadros spinge molto per l’unità dei cristiani. Nel 2013, Papa Tawadros è stato da Papa Francesco per una settimana, e quella visita è stata un momento di rilievo per il cammino ecumenico. Si era incontrato con il Papa il 10 maggio, e da allora ogni 10 maggio c’è una festa comune di ortodossi e cattolici. Gli incontri non mancano, anche se c’è un cammino lungo da fare. Ma in fondo siamo già in cammino.

Quali sono i suoi obiettivi e le sfide da affrontare nella diocesi di Luxor?

Sto lavorando molto sulla formazione del clero e dei laici. Abbiamo istituito due istituti catechetici, uno a Luxor e uno ad Assuan, e lì ci sono 250 ragazzi che frequentano, e che tra quattro anni avranno un diploma. Abbiamo lanciato un anno vocazionale, cominciato l’8 dicembre perché fosse sotto la protezione della Madonna. Già ci sono i frutti di questo cammino che stiamo facendo, ci sono cinque ragazzi in discernimento e forse l’anno prossimo inizieranno i loro studi al seminario.