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Profughi e migranti, la Chiesa in prima linea. “Urgente avere programmi umanitari”

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C’è una sigla, nel mondo cattolico, che non è molto conosciuta, eppure è in prima linea nell’aiutare migranti e rifugiati. L’International Catholic Migration Commission (ICMC) è una conferedazione composta dagli uffici per la migrazione delle Conferenze Episcopali. Fa servizi legali, aiuto umanitario, crea rete, stabilisce buone pratiche. Si prende, insomma cura, dei milioni di migranti nel mondo.

“L’urgenza – racconta ad ACI Stampa monsignor Bob Vitillo, da poco nominato segretario generale dell’organizzazione – è prima di tutto di avere dei programmi umanitari per questi profughi. Perché le persone sono costrette a lasciare il loro Paese senza niente, e dobbiamo provvedere ad alloggio, cibo, vestiario. E poi, in gran parte sono perseguitati per causa di religione e di etnia”.

Qualche esempio pratico. “In Siria, aiutiamo molto sul campo dell’accesso alla salute, ci impegniamo perché le donne incinte abbiano accesso alla cura prima di far nascere i bambini e anche dopo”.

L’ICMC è stato fondato nel 1951, per dare risposta al gran numero di sfollati causati dalla Seconda Guerra Mondiale. Le cifre correnti – fornite dal rapporto 2015 - raccontano di un impegno che nel tempo è diventato sempre più grande.

Per fare qualche numero: in Siria, l’assistenza sanitaria è stata garantita a 2800 persone; in Giordania, 4121 proprietari di case giordani e siriani hanno ricevuto assistenza durante i freddi mesi invernali, anche con aiuto economico; in Grecia, l’ICMC ha mandato 44 esperti a lavorare con l’Alto Commissario ONU per i rifugiati per ricevere, registrare e dare assistenza ai rifugiati e ai migranti che arrivano in posizioni chiave; in Turchia, il supporto di “insdiamento” dell’ICMC ha intervistato 11038 persone per conto dell’Alto Commissario e le ha poi reinsediate negli Stati Uniti (il 40 per cento di loro sono siriani).

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Globalmente, l’ICMC si è presa cura di 121736 persone, e ne ha sottoposto 104570 alla domanda per un nuovo insediamento. Tra le altre cose, in qualità di organizzatore delle attività della società civile al Global Forum on Migration and Development, l’ICMC ha fatto in modo che per la prima volta si toccassero temi riguardanti la migrazione forzata e la protezione dei rifugiati.

Il problema resta sempre quello dell’integrazione, se guardiamo poi al fatto che molti degli atti di terrorismo vengono da immigrati di seconda o terza generazione, e cioè con le radici ben piantate nei luoghi in cui sono nati, cresciuti e vivono. “Dobbiamo renderci conto – sottolinea monsignor Vitillo - che la maggior parte dei profughi del mondo sono al Nord e non al Sud. Ci sono rifugiati che possono tornare a casa quando la situazione è sicura. Dobbiamo, dunque, promuovere la pace in questi luoghi, e integrare i rifugiati nel Paese di primo asilo”.

Mentre quelli che non possono essere integrati “possono avere una opportunità di andare in un altro Paese”. “La nostra organizzazione – afferma monsignor Vitillo - fa molto perché mandiamo esperti legali nei Paesi “caldi”, come in Iraq, Giordani, Libano per esaminare questi casi e per vedere se sono conformi alla definizione di profughi”.