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Sessanta anni di Europa. Un convegno in Vaticano per ripensarla

COMECE da Papa Francesco | Il direttivo COMECE in visita al Papa il 15 maggio 2017, quando fu presentato il convegno (Re)Thinking Europe. Sulla destra, padre Olivier Poquillon | COMECE COMECE da Papa Francesco | Il direttivo COMECE in visita al Papa il 15 maggio 2017, quando fu presentato il convegno (Re)Thinking Europe. Sulla destra, padre Olivier Poquillon | COMECE

Le sfide sono chiare: aiutare l’Europa a ripartire, a non essere più “la nonna” delineata da Papa Francesco, ma piuttosto una giovane donna con tanto futuro davanti; fare un’Europa a misura di persona umana, che risponda alle sfide complesse e non lo faccia con il linguaggio semplicistico che spesso si sente; e prepararsi per questo a quello che sarà il futuro. Padre Olivier Poquillon OP, segretario generale del COMECE, parla con ACI Stampa di sfide e opportunità dell’Europa in vista di (Re)thinking Europe, l’incontro che si terrà in Vaticano dal 27 al 29 ottobre, con la partecipazione di vescovi e politici europei di alto livello (anche il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani) e con il coinvolgimento del Papa, che parteciperà e parlerà.

Padre Poquillon, perché c’è bisogno di ripensare l’Europa?

Abbiamo sempre bisogno di pensare, ma non si tratta di pensare in maniera intellettuale ma anche in modo pratico. Vediamo che l’Europa sta affrontando delle crisi. Crisi che si configurano piuttosto come mutazioni antropologiche e sociali e che sono occasioni per pensare con nuovi paradigmi ed una nuova apertura a cosa vogliamo fare in Europa.

C’è spazio per il cristianesimo nell’Europa del futuro?

Non è questo il punto. Noi cristiani siamo qui, apparteniamo ad uno scenario europeo che il cristianesimo, con il suo bagaglio culturale ereditato anche dalla filosofia greca e dall’impero romano, ha contribuito a delineare. Le radici europee vengono dalla cristianità. Non è un problema essere invitati a dare un contributo in Europa. Siamo parte dell’Europa. L’Europa non può essere Europa senza cristianità.

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I nuovi trend di secolarizzazione hanno messo sempre più da parte la religione dal dibattito pubblico. Cosa è successo all’Europa?

Non è mia intenzione difendere la Francia più di ogni altra nazione, ma va ammesso che c’è una differenza tra secolarismo e laicitè. La laicitè è una distinzione, non una divisione o opposizione. Non si tratta di una battaglia tra Stato e Chiesa. Il proposito della legge è di proteggere la libertà religiosa dei cittadini. Questo è in linea con la dottrina della Chiesa. Il concetto di libertà religiosa, d’altronde, può essere nato solo nel contesto della cristianità.

Cosa ha da dire oggi il cristianesimo all’Europa?

Oggi il proposito dei cristiani non è di criticare, ma di fare proposte positive per la società. Il primo principio per noi è Dio. Un Dio di amore, fiducia, solidarietà e compassione, venuto per radicarsi nell’umanità. La Chiesa è presente in Europa per dialogare. Viene anche da qui l’esigenza non di un congresso, ma di un dialogo: (Re)thinking Europe, appunto. Non si tratta di “parlare d’Europa”, ma di un dialogo sull’Europa tra politici e vescovi.

Cosa si aspetta dal Papa?

Il Papa probabilmente ci metterà di fronte alle nostre responsabilità specifiche. I vescovi sono scelti dallo Spirito Santo, i parlamentari dagli elettori. Ma entrambi condividono una responsabilità per le persone che sono loro affidate.

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Papa Francesco, e Benedetto XVI prima di lui, hanno parlato della necessità di una nuova generazione di politici cattolici. Quanto è urgente questa necessità?

Come Chiesa dobbiamo farci delle domande. Le prossime elezioni europee avranno luogo nel 2019. Come ci stiamo preparando come cristiani? Stiamo chiedendo le giuste domande? Come scegliamo i punti davvero importanti per il bene comune? Stiamo mettendo la persona umana al cuore delle politiche pubbliche?

Queste sono le domande che dobbiamo fare ai nostri politici e abbiamo tutti i titoli per farle. Perché abbiamo la capacità e il network adeguato.

Come segretario generale del COMECE, ha l’occasione di osservare molto da vicino quello che fanno le istituzioni europee. Cosa pensa debba essere riformato dell’Unione? E cosa invece va bene?

Non ho, ovviamente, una soluzione definitiva. Ci tengo a precisare che non osservo. Come rappresentante del COMECE, per l’incarico che ho dagli Statuti, il mio compito non è quello di osservare, ma di dialogare. Critichiamo il funzionamento delle istituzioni europee, ma facciamo allo stesso tempo proposte. E, in dialogo con le istituzioni europee, noi percepiamo delle paure, sulle quali il Papa ha un scherzato, parlando di “un’Europa nonna e impaurita”. Il primo passo è quello di tornare alle radici, con fiducia. Le radici non sono la fine di tutto. Le radici in buona salute sono necessariamente fornite di un buon tronco, delle foglie, e dei frutti. Ecco, oggi, insieme alle istituzioni europee, dovremmo focalizzarci di più sui frutti che possiamo produrre insieme.

Quindi, uno spazio maggiore per le opinioni della Chiesa?

Non si tratta di dividere la torta, ma di cuocerla insieme. In termini di riforme, vediamo in generale che c’è bisogno di più dialogo. Viviamo in un mondo complesso. Il mondo diventa sempre più complesso, mentre il linguaggio politico diventa sempre più semplice, e a volte persino semplicistico. Dobbiamo tornare alla realtà, perché Dio è radicato nella realtà, e non in sogni o in percezioni false o inventate.

Cosa succederà dopo (Re)thinking Europe?

Dopo il dialogo che avremo con Papa, vescovi e politici, faremo degli altri incontri, come ci è stato chiesto. Questa conferenza, in fondo, non è una conferenza su un sessantesimo anniversario in vista della pensione. È un inizio. Vogliamo contribuire a sviluppare un nuovo sguardo sull’Europa, che ci permetta di guardare all’Europa non come ad una realtà stanca, ma come ad una giovane con molto futuro e potenzialità avanti a sé.

In una agenda immaginaria, quali sono le priorità dell’Europa? E quali le preoccupazioni?

La Chiesa non ha preoccupazioni: si fida di Dio. Raccogliamo l’invito di San Giovanni Paolo II a non avere paura, ad essere coraggiosi e prendere le nostre responsabilità. Le migrazioni sono di certo un tema per la gente. La nostra capacità di accogliere dipende dalla consapevolezza di noi stessi. Se sappiamo chi siamo, se siamo profondamente radicati nella nostra vita, sapremo muoverci da una posizione difensiva ad una più proattiva e di proposta. L’Europa ha avuto per 70 anni una pace e una prosperità che non sono mai stati raggiunti prima. Non dobbiamo mai dimenticare che l’intera costruzione dell’Europa è un progetto di pace.