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Simposio CCEE, Hollerich: “I giovani cattolici non sono l’ultimo dei mohicani”

Arcivescovo Jean Claude Hollerich | L'arcivescovo Jean Claude Hollerich durante il Simposio CCEE | CCEE Arcivescovo Jean Claude Hollerich | L'arcivescovo Jean Claude Hollerich durante il Simposio CCEE | CCEE

Il futuro dei giovani cattolici in Europa? Sta nel costruire comunità, perché questi non devono sentirsi come “l’ultimo dei mohicani”. Lo racconta ad ACI Stampa l’arcivescovo Jean Claude Hollerich di Lussemburgo, membro del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, con alle spalle 22 anni di esperienza pastorale in Giappone prima di tornare come pastore nel cuore delle istituzioni europee.

Quali sono le sfide più grandi per la pastorale giovanile in Europa?

La sfida è di imparare dai giovani. Possiamo annunciare il Vangelo solo se le persone si sentono accettate ed amate. Se ci limitiamo al solo annuncio, non può funzionare. Siamo chiamati a rispettare molto i giovani, anche quando non siamo d’accordo con loro. Dobbiamo vivere i giovani ogni giorno.

Quale è il maggior pericolo oggi per i giovani cattolici?

La secolarizzazione è di certo il maggior pericolo. C’è una generazione che non sa come pregare, non sa come relazionarsi a Dio. Tutti pensano di dover essere moralmente perfetti, e non ricordano che i cristiani sono peccatori. Siamo chiamati a mostrare di non essere perfetti, di essere dei peccatori che mirano alla santità. Dobbiamo mostrare di essere discepoli di Cristo.

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Lei parlava di una pastorale giovanile basata sull’esperienza. Ma questa esperienza si combina con la catechesi?

La catechesi ha a che fare con l’esperienza. La catechesi è riconoscersi nel Vangelo. È il pensiero di Pietro che sa di aver tradito tre volte, ma di aver ricevuto il perdono di Dio.

Sembra comunque che la fede sia crollata in Europa negli ultimi quaranta anni. Dove si è fallito?

A volte mi chiedo se la religione fosse più forte prima. Vedo le persone venire a Messa, spesso anziani, e mi chiedo quanto siano credenti. Molti di loro non lo sono. Se si facesse una inchiesta sui cristiani praticanti, chiedendo, ad esempio, quanti credono nella Resurrezione, avremmo risultati sorprendenti. Prima, la Messa unificava la società. Vero che la situazione è differente da parrocchia a parrocchia, da nazione a nazione. Ma abbiamo ancora bisogno di essere evangelizzati.

Ma i giovani vogliono messaggi forti o solo essere accettati?

Cercano messaggi forti. Lo so dall’esperienza personale. Tre anni fa, ho fatto un viaggio con i giovani in Tailandia, e non è stato esattamente un viaggio turistico. Siamo andati in un villaggio nella giungla, per costruire una chiesa con le nostre mani, insieme alle persone del posto. Era un programma intenso, con Messa e preghiera quotidiana. Le persone erano felici. Un giovane, all’inizio del viaggio, si lamentò: “La Messa tutti i giorni? Non basta una a settimana?”. Lo stesso giovane alla fine del viaggio mi disse: “Mi mancherà questa Messa quotidiana”.

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Cosa serve allora ai giovani?

È importante che ci siano i giovani che parlano di fede. Si devono creare comunità. I giovani cattolici si sentono spesso come gli ultimi dei mohicani. È molto difficile per un giovane sostenere le proprie idee di fede, farvi fronte davanti a tutti gli amici. È molto difficile. Per questo dobbiamo creare comunità di giovani che vivono la loro fede insieme.

Lei è stato in Asia per molto tempo. Cosa possono insegnare i giovani cattolici d’Europa ai giovani cattolici dell’Asia? E cosa possono insegnare i cattolici di Asia agli Europei?

La gioventù europea può insegnare alla gioventù asiatica un tipo di libera coscienza e responsabilità civile. Gli asiatici possono invece insegnare la loro vita in comunità. Quando ero in Giappone, andando a cena con i giovani, mi rendevo conto che nessuno ordinava un piatto singolo: si prendevano piatti centrali, da condividere. Gli asiatici sono orientati alla comunità.

A cosa è chiamata la pastorale giovanile in Europa?

Dobbiamo parlare in maniera significativa con i giovani. Il pericolo è che il cristianesimo in Europa muoia, o diventi una setta insignificante.

Lei crede che il cristianesimo stia per morire in Europa?

Non credo ancora che stia per morire. Ma sta diventando insignificante. Abbiamo bisogno dei giovani, della freschezza dei giovani.

Quanto è forte il problema della mancanza di una vera cultura?

Vedo ogni giorno la mancanza di formazione cattolica. Ci sono giornali che si definiscono cattolici, ma non lo sono, perché i giornalisti non lo sono. I vescovi sono chiamati a vedere anche questa diminuita parte intellettuale, e comprendere la cultura in cui vivono. Per quanto riguarda i giovani, ci sono molte culture giovanili. Siamo chiamati a studiarle. Dobbiamo essere in grado di proclamare Cristo in ogni cultura.

Cosa deve fare la Chiesa allora?

Dobbiamo tornare alla realtà, perché Dio è nella realtà. Questo non significa che non dobbiamo mirare all’ideale, guardare in alto. L’ideale è nella realtà, e deve essere un punto di riferimento presente. Vogliamo essere santi, non siamo ancora santi.

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