Roma, 05 September, 2025 / 12:30 AM
Domenica 7 settembre, insieme a Carlo Acutis, un altro giovane, seppure di un’epoca diversa, sarà dichiarato santo, Pier Giorgio Frassati, torinese e di famiglia benestante, che ha speso la sua vita per i poveri e si è battuto per la giustizia sociale, a cui Giovanna Abbagnara, Paola Ciniglio, Cecilia Galatolo hanno dedicato un libro: ‘Pier Giorgio Frassati. Fino alle vette’ per chi vuole imparare “a scrivere la propria storia con la stessa penna che ha guidato la vita di Pier Giorgio: quella del Vangelo”.
Attraverso le tappe fondamentali della vita dell’imminente santo torinese (la fede, la preghiera, l’amicizia, lo studio, la carità, la croce) questo libro si fa strada nel cuore di chi cerca la verità e ha il coraggio di lasciarsi provocare. Scommette sul fatto che ogni ragazzo, ogni ragazza, possa scoprire in sé lo stesso desiderio di infinito che ha abitato Pier Giorgio, come si sottolinea nella nota introduttiva.
Quindi non la solita biografia, ma un libro che ‘si mette accanto a chi è in cammino e ha bisogno di luce per orientarsi’, in quanto ogni capitolo è accompagnato da test, passi del Vangelo, domande scomode e canzoni: laboratori esperienziali per far ‘crescere una generazione che ha fame di autenticità’.
Ad una delle autrici, Cecilia Galatolo, chiediamo di spiegarci il motivo per cui Pier Giorgio Frassati amava le ‘vette’: “Per Pier Giorgio, le vette rappresentano in qualche modo il cammino della vita. A volte ci sono delle salite, ma se andiamo avanti, godremo di aria pulita e di un panorama impagabile. Capita, poi, di cadere o che chi ci è vicino inciampi durante la scalata. Anche in questo i sentieri di montagna rappresentano per Frassati la vita, la strada percorsa con i fratelli e le sorelle: è bello aiutarci ogni volta a rialzarci. Meglio arrivare dopo, magari, ma arrivare insieme. Inoltre, Pier Giorgio amava la montagna per la tranquillità e la serenità che trasmette. L’anima si sintonizza meglio con Dio. Se ci pensiamo, anche Gesù era solito ritirarsi in montagna a pregare”.
Però si definiva anche un tipo ‘losco’?
“Sì, ma ovviamente, non lo era affatto. Anzi, era un giovane generoso e con il cuore puro. Questa definizione nasce da una associazione scherzosa creata con i suoi amici, ‘I tipi loschi’, appunto. Il gruppo si è formato spontaneamente proprio durante una gita in montagna. Il loro obiettivo era vivere la fede in letizia e servire Dio nei poveri. Frassati era innamorato dei poveri. Diceva che amare loro significava restituire l’amore che Gesù gli donava nell’Eucaristia. Aveva una fede viva, profonda. Considerava Cristo il suo migliore amico”.
Di famiglia liberale perchè si innamorò di Dio?
“Frassati veniva da una famiglia ricca e liberale. Il papà, fondatore del giornale ‘La Stampa’, di Torino, era rispettoso delle tradizioni cristiane, ma viveva fondamentalmente da ateo. La mamma, una pittrice in vista, che pure non mancava alla messa domenicale, non aveva una fede matura. Spesso aveva posizioni anticlericali e temeva che il figlio potesse diventare bigotto. Basti pensare che Pier Giorgio dovette avviare una ‘rispettosa battaglia’ a casa per ricevere il permesso di fare la comunione ogni giorno. Si innamorò di Dio perché solo in Lui trovava il senso della vita. Aveva tutto, questo giovane, tutto ciò che materialmente si potesse desiderare. La sua famiglia non gli faceva mancare nulla. Ville, auto di un certo livello, vestiti buoni, viaggi. Eppure, nulla di tutto ciò era abbastanza per lui. Gesù, invece, era quella perla preziosa per cui valeva la pena rinunciare a tutto il resto. I privilegi lo avrebbero chiuso in sé stesso, donare tutto, come insegna il Vangelo, lo rese felice”.
'Non bisogna dare degli stracci ai poveri': cosa era la carità per Pier Giorgio Frassati?
“Pier Giorgio non aveva solo compassione dei poveri, li considerava il corpo, il volto di Gesù. Possiamo dunque dare stracci a Gesù? Per Pier Giorgio, spendersi per loro era una priorità assoluta. Spesso si prodigava per gli sfrattati, che all’epoca erano molti, aiutandoli materialmente con ciò che aveva ed a trovare una nuova abitazione. A volte, per far questo, arrivava tardi all’università o chiedeva di poter rimandare un appello. Insomma, ai poveri non dava lo scarto del suo tempo, dava il meglio, dava tutto. E’ stato definito il ‘santo della strada’ perché aiutare chi giaceva per strada era la sua vocazione, era la sua principale occupazione. I genitori faticavano a comprendere la vastità del suo impegno, seppero solo dopo la sua morte che aveva fatto (in circa 12i anni) migliaia di interventi a vantaggio degli ultimi. Faceva parte di una istituzione caritativa, ma spesso si impegnava anche da sé. Ovunque, senza fare calcoli”.
Quale posto aveva nella sua vita l'Eucarestia?
“Era centrale. Senza Cristo, diceva, non poteva far nulla. Una volta un suo amico, vedendolo entrare in Chiesa ogni giorno, gli domandò: ‘Ma sei diventato bigotto?’ Rispose: ‘No, sono rimasto cristiano’. Gesù non era un’abitudine astratta, era una presenza viva: la sorgente del suo amore per gli altri”.
Cosa dice ai giovani la sua santità?
“Colpisce tanto la capacità di Pier Giorgio di andare controcorrente. La sua vicenda si è svolta nel contesto dei primi del ‘900. Ha vissuto la Prima Guerra Mondiale ed ha assistito alla presa di potere da parte di Mussolini. Lo faceva soffrire che molti cattolici ‘strizzassero l’occhio’ al regime. Affermava che i discorsi del duce gli facevano ‘ribollire il sangue nelle vene’. Ecco, la figura di Pier Giorgio, vissuto un secolo fa ma con uno stile evangelico profondamente attuale, colpisce perché prende sul serio l’invito di Gesù a scegliere il bene senza compromessi, senza pensare ai propri interessi o vantaggi. Era un giovane uomo onesto, schietto, che non temeva le conseguenze delle sue scelte, se fatte per amore della giustizia”.
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