Roma, 27 September, 2025 / 2:00 PM
Il 27 settembre la Chiesa celebra l’immensa opera di carità e di evangelizzazione di San Vincenzo de' Paoli. Un evento festeggiato in grande dalla Famiglia Vincenziana che celebra il santo fondatore della Congregazione della Missione e delle Figlie della Carità. Con Padre Valerio di Trapani, Visitatore della Provincia d'Italia Padri della Missione, abbiamo ripercorso il grande lavoro di San Vincenzo de’ Paoli da quel 1617, il suo primo giorno di “missione”, abbiamo fatto un punto sulla sua eredità, abbiamo elencato le iniziative che hanno accompagnato il 400esimo anno della fondazione della Congregazione della Missione dei Vincenziani. ACI Stampa lo ha raggiunto al Collegio Apostolico Leoniano a Roma.
Padre Valerio ripercorriamo insieme la storia dei missionari vincenziani. Come nasce la Famiglia Vincenziana? E come siete strutturati ad oggi da quel lontano 1617?
Una domanda che ha bisogno di una risposta lunga. Tutto nasce da San Vincenzo de Paoli che prima di essere santo era un buon sacerdote in cerca di una sua posizione anche sociale. Voleva restituire ai genitori quella dignità che loro, con il loro lavoro, il loro sacrificio gli avevano dato, una sorta di ascesa sociale attraverso il suo ministero sacerdotale. E in effetti San Vincenzo fa così, cerca di entrare in società, diventa il precettore di una grande famiglia di origini italiane, che partecipa al governo della nazione francese. Ad un certo punto si accorge dei contadini, i poveri delle campagne francesi… soffrono davvero tanto. Le campagne della Francia del 1600 erano zone abbandonate. E quello che lo stupisce per certi versi lo converte. Perché tutto era concentrato su sé stesso e sul suo bisogno di far carriera. E invece lo stupisce che entrando in relazione con queste persone, lui sente di essere un’ancora di salvezza per loro. In particolare San Vincenzo confessa un uomo. “Mi è sembrato di aver strappato dalle mani del diavolo questa persona”, disse in quella circostanza. Allora, sensibilizzato da questo, celebra un'Eucarestia e fa una predicazione particolare a Folleville il 25 gennaio 1617, il giorno della conversione di San Paolo. Ricordiamo quella data perché San Vincenzo disse che proprio da lì nacque la sua missione. Da dove nasce la missione vincenziana? Dal 25 gennaio 1617, predicando a questo povero popolo delle campagne francesi.
Quindi tutto è nato il 25 gennaio 1617…
Quella data è considerata l’inizio della missione vincenziana: a seguito di quella predica, moltissime persone chiesero di confessarsi, al punto che San Vincenzo e il sacerdote che era con lui dovettero chiedere aiuto ai gesuiti di Amiens per riuscire a confessarle tutte. Fu in quel momento che comprese quale fosse la sua autentica vocazione: non diventare un “gran signore”, ma dedicarsi all’evangelizzazione dei poveri. Da quell’esperienza nacque, anni dopo, la Congregazione della Missione, fondata ufficialmente nell’aprile del 1625. Quest’anno celebriamo quindi i 400 anni di quella nascita. Da allora la Congregazione si è diffusa in oltre 40 Paesi del mondo: già ai tempi di San Vincenzo era presente in Italia (Roma, Torino, Genova), in Polonia e persino nella cosiddetta “Barberia”, cioè la zona dell’attuale Tunisia. Oggi conta circa 2.800 sacerdoti attivi in tutti i continenti.
E a cosa vi dedicate esattamente?
2800 sacerdoti impegnati soprattutto in tre versanti, il versante della evangelizzazione dei poveri, quindi l'evangelizzazione attraverso il ministero delle parrocchie, il ministero delle Missioni popolari, cioè dell’annuncio, un po' come quello di Vincenzo de Paoli, ovvero andare di villaggio in villaggio, di casa in casa, ad annunciare il Vangelo. Noi, per esempio, la provincia italiana, siamo impegnati in questo lavoro di predicazione in queste settimane e abbiamo fatto tre missioni popolari, cioè abbiamo vissuto tre momenti di predicazione in una parrocchia, incontrando gli ammalati, incontrando le famiglie. Ma la nostra predicazione non si ferma soltanto in chiesa, ma raggiungiamo la gente nelle case, nei luoghi di incontro, nelle scuole, nei bar. Lo facciamo per 10 giorni, quando si tratta di una missione popolare, oppure tre giorni, quando si tratta di un’iniziativa che chiamiamo “Tre giorni con Maria”. Il secondo campo in cui operiamo è la carità, cioè siamo impegnati nelle varie opere di servizio all'uomo, abbiamo case di accoglienza per persone senza dimora qui, a Catania ecc. A Roma abbiamo il servizio per i senza dimora di piazza San Pietro e il servizio doccia. A Udine lavoriamo un po' con i carcerati, così come al sud, oppure negli ospedali. Ecco quindi l'incontro con le persone. Questa dimensione per noi è importante perché Vincenzo de Paoli è dichiarato il patrono di tutte le opere di carità. E poi arriviamo al terzo versante che è quello della formazione del clero e dei laici. Noi abbiamo un seminario a Piacenza, abbiamo molti confratelli che fanno i padri spirituali nei seminari, per esempio a Sassari, a Cagliari. In passato moltissimi seminari in Italia sono stati promossi dalla Congregazione della Missione. San Vincenzo nasce come periodo storico dopo il Concilio di Trento, quando nascono i seminari, e lui fu uno di quelli che applicò molto i dettami del Concilio di Trento e quindi la formazione del clero. Ma anche la formazione dei laici, soprattutto per quanto riguarda il volontariato. Noi abbiamo due associazioni di volontariato ai poveri, il volontariato vincenziano che si rifà all'Associazione internazionale delle carità fondata da San Vincenzo de Paoli proprio nel 1617, e poi la società di San Vincenzo de Paoli in cui recentemente abbiamo festeggiato per Giorgio Frassati, che era un membro attivo di Torino.
Padre Valerio sono passati 400 anni. Come vive ancora oggi l'eredità di San Vincenzo de Paoli? Cosa resta veramente di forte anche per le nuove generazioni?
Oggi viviamo in un’epoca di profondi cambiamenti. Papa Francesco non parla solo di un’epoca di cambiamenti, ma addirittura di un cambiamento d’epoca. Alcuni lo definiscono un tempo magmatico, alcuni liquido, altri ancora dicono gassoso: comunque sia, ci troviamo dentro una fase di trasformazioni radicali. In questo contesto, la figura di San Vincenzo de Paoli resta attuale almeno per due motivi. Il primo è il primato di Cristo. È come quando ci si trova in alto mare e si vede una boa: quella diventa l’unico punto fermo a cui aggrapparsi. Così è Cristo: il fondamento, il riferimento ultimo, l’unica certezza. San Vincenzo de Paoli lo aveva compreso bene. Nel Seicento non era consueto rifarsi alla Scrittura: si preferiva guardare alla tradizione, all’insegnamento della Chiesa, ai valori. Lui invece metteva al centro la Parola di Dio, continuamente. Amava ripetere: “Rivestitevi di Cristo, lasciatevi rivestire di Cristo”. Nei suoi scritti la parola “Gesù Cristo” ritorna tantissime volte, perché per lui tutto nasceva da Cristo e tutto finiva in Cristo. In altre parole, il centro di tutto era sempre e solo Gesù Cristo. Il secondo aspetto è il primato dell’uomo. Dopo quello di Cristo, infatti, San Vincenzo de Paoli riconosce l’altro primato fondamentale: Gesù Cristo ha scelto di farsi uomo. All’inizio Vincenzo pensava di poter “salvarsi” da solo, cioè di realizzare la propria vita con le proprie forze. Invece scopre che la sua esistenza è strettamente legata agli altri uomini, in particolare all’uomo nella sua fragilità, nella sua umanità più autentica.Il povero, infatti, non rappresenta soltanto chi è privo di beni materiali, salute o sostegno sociale: rappresenta l’umanità nella sua verità più nuda. Chi ha denaro, successo, potere o ruoli pubblici, spesso indossa una maschera: l’attore deve recitare, il politico deve mostrarsi in un certo modo, il professionista deve mantenere una facciata credibile. In qualche misura, anche noi sacerdoti indossiamo una maschera. Il povero no. Un malato, un emarginato, una persona sola non hanno maschere: si mostrano per quello che sono, nella verità della loro vita. E proprio lì, in quella verità, si manifesta Cristo, che ha scelto di farsi povero. Per questo dico che le due dimensioni – l’amore per Cristo e l’amore per i poveri – non sono separate. Vincenzo amava Cristo e amava i poveri in Cristo; anzi, amava Cristo nei poveri. Questi due elementi, oggi come allora, restano preziosissimi.
Sabato 27 settembre è dedicato a San Vincenzo de Paoli. Ci sono iniziative particolari da segnalare?
Nella parrocchia di Tor Sapienza assisteremo a un’opera multimediale molto interessante: non un film tradizionale, ma una rappresentazione che unisce video, parti recitate e parti cantate, quasi un musical in forma di video. L’opera propone canzoni nuove che raccontano momenti significativi della vita di San Vincenzo de Paoli, presentati in chiave attuale. La scelta di questa formula è stata particolarmente efficace: si vede Vincenzo che parla, e subito dopo le sue parole vengono riprese e attualizzate da un missionario vincenziano, da una Figlia della Carità o da un laico della Famiglia Vincenziana. Così ciò che egli viveva e insegnava quattro secoli fa viene tradotto nel presente. Per esempio: la sua esperienza di accoglienza diventa oggi accoglienza dei poveri e dei migranti; il suo impegno per la pace diventa oggi costruzione della pace nel 2025. Oggi i media parlano di Netanyahu, di Trump, di Hamas, dei leader e delle strategie geopolitiche. Ma in realtà le guerre sono soprattutto la storia dei bambini, delle famiglie, delle persone che soffrono. E Vincenzo de Paoli, in questo senso, si collocava già su questa prospettiva: quando scriveva al Papa, non gli diceva di trattare con un re o con un generale, ma lo richiamava al fatto che i poveri stavano soffrendo.
E per il Giubileo?
Come Congregazione, abbiamo vissuto il nostro momento giubilare lo scorso marzo, con un pellegrinaggio che ha coinvolto i superiori e gli economi delle case – circa 40-50 confratelli – in un cammino di preghiera, confessione e fraternità. Abbiamo poi partecipato al Giubileo dei giovani con circa 400 ragazzi provenienti dai nostri territori. È stato un incontro ricco e stimolante, con ospiti come don Luigi Maria Epicoco e altri relatori, che ci hanno guidato a rileggere il tema della speranza: una speranza cristiana, che libera e che rende liberi. Di recente c’è stato anche il pellegrinaggio dei volontari della Società di San Vincenzo de Paoli, che hanno partecipato al Giubileo per gli operatori di giustizia. Erano circa 500-600 persone, impegnate non solo con le famiglie povere, ma anche nel servizio nelle carceri. Con loro abbiamo condiviso un incontro il sabato, e la domenica hanno partecipato alla celebrazione in piazza San Pietro.
Un’ultima domanda. Papa Leone XIV lo avete contattato? Lo incontrerete a breve?
Ha incontrato il nostro superiore generale. Speriamo di poterlo contattare presto, anche se finora non lo abbiamo fatto. Questa casa, dove ci troviamo a Roma, si chiama il Collegio Leoniano. È stata fondata, o meglio completata, da Papa Leone XIII. Sarebbe bello, infatti, dedicare una sala a Leone XIV. Stiamo inaugurando un salone multimediale da 150 posti e, al momento, non gli abbiamo dato un nome. Ho pensato che potremmo dedicarglielo, proprio perché l’idea è legata a lui: Leone XIII l’ha fondata e noi siamo qui da poco più di cento anni. La sua presenza potrebbe indicarci un modo nuovo di operare sul territorio, dopo cento anni di attività.
Le Migliori Notizie Cattoliche - direttamente nella vostra casella di posta elettronica
Iscrivetevi alla newsletter gratuita di ACI Stampa.
La nostra missione è la verità. Unisciti a noi!
La vostra donazione mensile aiuterà il nostro team a continuare a riportare la verità, con correttezza, integrità e fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Donazione a CNA