Città del Vaticano , 23 November, 2025 / 1:00 PM
“Con questa lettera desidero incoraggiare in tutta la Chiesa un rinnovato slancio nella professione della fede, la cui verità, che da secoli costituisce il patrimonio condiviso tra i cristiani, merita di essere confessata e approfondita in maniera sempre nuova e attuale. A tal riguardo, è stato approvato un ricco documento della Commissione Teologica Internazionale: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. Il 1700° anniversario del Concilio Ecumenico di Nicea. Ad esso rimando, perché offre utili prospettive per l’approfondimento dell’importanza e dell’attualità non solo teologica ed ecclesiale, ma anche culturale e sociale del Concilio di Nicea”. Lo scrive Papa Leone XIV nella Lettera Apostolica In unitate fidei, pubblicata stamane, in occasione dei 1700 anni del Concilio di Nicea.
“E’ una provvidenziale coincidenza – ha osservato - che in questo Anno Santo, dedicato alla nostra speranza che è Cristo, si celebri anche il 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico di Nicea, che proclamò nel 325 la professione di fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio. È questo il cuore della fede cristiana. Essa ci dà speranza nei tempi difficili che viviamo, in mezzo a molte preoccupazioni e paure, minacce di guerra e di violenza, disastri naturali, gravi ingiustizie e squilibri, fame e miseria patita da milioni di nostri fratelli e sorelle”.
“Dio -ha assicurato il Papa - non abbandona la sua Chiesa, suscitando sempre uomini e donne coraggiosi, testimoni nella fede e pastori che guidano il suo Popolo e gli indicano il cammino del Vangelo”.
“Il Credo niceno – ha proseguito il Papa nella lettera - inizia professando: «Noi crediamo i un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili». Con ciò i Padri conciliari espressero la fede nel Dio uno e unico. Al Concilio non ci fu controversia al riguardo. Il Credo di Nicea non formula una teoria filosofica. Professa la fede nel Dio che ci ha redenti attraverso Gesù Cristo. Si tratta del Dio vivente”.
“È proprio in virtù della sua incarnazione – ha ancora sottolineato Papa Leone - che incontriamo il Signore nei nostri fratelli e sorelle bisognosi. Il Credo niceno non ci parla del Dio lontano, irraggiungibile, immoto, che riposa in sé stesso, ma del Dio che è vicino a noi, che ci accompagna nel nostro cammino sulle strade del mondo e nei luoghi più oscuri della terra. La sua immensità si manifesta nel fatto che si fa piccolo, si spoglia della sua maestà infinita rendendosi nostro prossimo nei piccoli e nei poveri. Questo fatto rivoluziona le concezioni pagane e filosofiche di Dio”.
“La divinizzazione – ha osservato nel testo Leone XIV - non ha nulla a che vedere con l’auto-deificazione dell’uomo. Al contrario, la divinizzazione ci custodisce dalla tentazione primordiale di voler essere come Dio Ciò che Cristo è per natura, noi lo diventiamo per grazia. Attraverso l’opera della redenzione, Dio non solo ha restaurato la nostra dignità umana come immagine di Dio, ma Colui che ci ha creati in modo meraviglioso ci ha resi partecipi, in modo ancor più mirabile, della sua natura divina. La divinizzazione è quindi la vera umanizzazione. Ecco perché l’esistenza dell’uomo punta al di là di sé, cerca al di là di sé, desidera al di là di sé ed è inquieta finché non riposa in Dio. Solo Dio, nella sua infinità, può soddisfare l’infinito desiderio del cuore umano, e per questo il Figlio di Dio ha voluto diventare nostro fratello e redentore”.
“La roccia del credo niceno – ha ricordato il Papa - fu Sant’Atanasio, irriducibile e fermo nella fede. Anche dall’esilio continuò a guidare il Popolo di Dio attraverso i suoi scritti e le sue lettere. Come Mosè, Atanasio non poté entrare nella terra promessa della pace ecclesiale”.
“È stato lungo e lineare – ha scritto Leone -il cammino che ha portato dalla Sacra Scrittura alla professione di fede di Nicea, poi alla sua ricezione da parte di Costantinopoli e Calcedonia, e ancora fino al XVI e al nostro XXI secolo. Tutti noi, come discepoli di Gesù Cristo, «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» siamo battezzati, facciamo su noi stessi il segno della croce e veniamo benedetti. La liturgia e la vita cristiana sono dunque saldamente ancorate al Credo di Nicea e Costantinopoli: ciò che diciamo con la bocca deve venire dal cuore, così da essere testimoniato nella vita. Dobbiamo quindi chiederci: che ne è della ricezione interiore del Credo oggi? Sentiamo che riguarda anche la nostra situazione odierna? Comprendiamo e viviamo ciò che diciamo ogni domenica, e che cosa significa ciò che diciamo per la nostra vita?”.
“Oggi per molti, Dio e la questione di Dio – è la denuncia del Pontefice - non hanno quasi più significato nella vita. Si sono combattute guerre, si è ucciso, perseguitato e discriminato in nome di Dio. Invece di annunciare un Dio misericordioso, si è parlato di un Dio vendicatore che incute terrore e punisce. Il Credo di Nicea ci invita a un esame di coscienza”.
“Al centro del Credo niceno-costantinopolitano – si legge ancora nel testo papale -campeggia la professione di fede in Gesù Cristo, nostro Signore e Dio. È questo il cuore della nostra vita cristiana. Perciò ci impegniamo a seguire Gesù come Maestro, compagno, fratello e amico. Ma il Credo niceno chiede di più: ci ricorda infatti di non dimenticare che Gesù Cristo è il Signore, il Figlio del Dio vivente, che «per la nostra salvezza discese dal cielo» ed è morto «per noi» sulla croce, aprendoci la strada della vita nuova con la sua risurrezione e ascensione”.
“La sequela di Gesù Cristo – ha rimarcato il Papa - non è una via larga e comoda, ma questo sentiero, spesso impegnativo o persino doloroso, conduce sempre alla vita e alla salvezza . Se Dio ci ama con tutto sé stesso, allora anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Non possiamo amare Dio che non vediamo, senza amare anche il fratello e la sorella che vediamo. L’amore per Dio senza l’amore per il prossimo è ipocrisia; l’amore radicale per il prossimo, soprattutto l’amore per i nemici senza l’amore per Dio, è un eroismo che ci sovrasta e opprime. Nella sequela di Gesù, l’ascesa a Dio passa attraverso la discesa e la dedizione ai fratelli e alle sorelle, soprattutto agli ultimi, ai più poveri, agli abbandonati e agli emarginati. Di fronte alle catastrofi, alle guerre e alla miseria, possiamo testimoniare la misericordia di Dio alle persone che dubitano di Lui solo quando esse sperimentano la sua misericordia attraverso di noi”.
“Il movimento ecumenico – ha sottolineato Leone XIV -ha raggiunto molti risultati negli ultimi sessant’anni. Anche se la piena unità visibile con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali e con le Comunità ecclesiali sorte dalla Riforma non ci è ancora stata donata, il dialogo ecumenico ci ha portato, sulla base dell’unico battesimo e del Credo niceno-costantinopolitano, a riconoscere i nostri fratelli e sorelle in Gesù Cristo nei fratelli e sorelle delle altre Chiese e Comunità ecclesiali e a riscoprire l’unica e universale Comunità dei discepoli di Cristo in tutto il mondo. Condividiamo infatti la fede nell’unico e solo Dio, Padre di tutti gli uomini, confessiamo insieme l’unico Signore e vero Figlio di Dio Gesù Cristo e l’unico Spirito Santo, che ci ispira e ci spinge alla piena unità e alla testimonianza comune del Vangelo. Davvero quello che ci unisce è molto più di quello che ci divide! Così, in un mondo diviso e lacerato da molti conflitti, l’unica Comunità cristiana universale può essere segno di pace e strumento di riconciliazione contribuendo in modo decisivo a un impegno mondiale per la pace”.
“Per poter svolgere questo ministero in modo credibile – ha concluso il Papa - dobbiamo camminare insieme per raggiungere l’unità e la riconciliazione tra tutti i cristiani. Il Credo di Nicea può essere la base e il criterio di riferimento di questo cammino. Ci propone, infatti, un modello di vera unità nella legittima diversità. Unità nella Trinità, Trinità nell’Unità, perché l’unità senza molteplicità è tirannia, la molteplicità senza unità è disgregazione. La dinamica trinitaria non è dualistica, come un escludente aut-aut, bensì un legame coinvolgente, un et–et: lo Spirito Santo è il vincolo di unità che adoriamo insieme al Padre e al Figlio. Dobbiamo dunque lasciarci alle spalle controversie teologiche che hanno perso la loro ragion d’essere per acquisire un pensiero comune e ancor più una preghiera comune allo Spirito Santo, perché ci raduni tutti insieme in un’unica fede e un unico amore. Questo non significa un ecumenismo di ritorno allo stato precedente le divisioni, né un riconoscimento reciproco dell’attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali. Il ristabilimento dell’unità tra i cristiani non ci rende più poveri, anzi, ci arricchisce. Come a Nicea, questo intento sarà possibile solo attraverso un paziente, lungo e talvolta difficile cammino di ascolto e accoglienza reciproca. Si tratta di una sfida teologica e, ancor più, di una sfida spirituale, che chiede pentimento e conversione da parte di tutti. Per questo abbiamo bisogno di un ecumenismo spirituale della preghiera, della lode e del culto, come accaduto nel Credo di Nicea e Costantinopoli”.
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