Advertisement

Nosiglia chiede ai torinesi di far rinascere la città con la fedeltà al Vangelo

L'arcivescovo Nosiglia celebra in Duomo a Torino  |  | Diocesi di Torino L'arcivescovo Nosiglia celebra in Duomo a Torino | | Diocesi di Torino

“Il nostro Patrono è uno che ci chiede di essere capaci di sconvolgere le nostre vite, di convertirci e dunque di metterci in discussione e non accettare passivamente e con rassegnazione le situazioni difficili e faticose”.

Così l’arcivescovo di Torino ha iniziato la sua omelia nella messa al duomo questa mattina per la festa di San Giovanni.

Nosiglia ha messo in evidenza la questione del declino sociale di Torino che segue quello economico: poveri lo stiamo diventando tutti, ha detto: “poveri di umanità e di valori etici e civili, poveri di disponibilità all’accoglienza, ma anche poveri di opportunità per migliorare le nostre condizioni di esistenza. Il messaggio del nostro patrono va nella direzione opposta: Giovanni viene a dirci che c’è una speranza grandiosa, che noi siamo i primi protagonisti del rinnovamento e del cambiamento, se vogliamo”.

Non si tratta di una questione economica però, ma serve un cuore che batte per osservare che “cresce la fragilità del sentirsi abbandonati, dimenticati, ignorati da una cultura dell’indifferenza che come una nebbia penetra dappertutto silenziosamente, ma con gravi conseguenze sulla vita di chi abita nei quartieri periferici o non”.

Solitudine per anziani ma anche per giovani, infatti “la disoccupazione giovanile è ugualmente diffusa nelle periferie aggravata a causa anche di un livello basso di istruzione e di qualificazione formativa”.

Advertisement

E poi i poveri: “la loro presenza ci inquieta non perché sono un presunto attentato al decoro delle nostre storiche vie, ma perché ci indicano la strada del rinnovamento e della maturità, della cultura e della civiltà, della verità e della democrazia. Questa presenza ci morde dentro perché mette a nudo le nostre contraddizioni e fa emergere tutte le nostre fragilità nascoste”.

Ci sono molte domande cui rispondere e tutte portano sulla strada di una maggiore attenzione alla giustizia e alla protezione dei deboli: “Pensiamo alla fatica di riconoscere la preziosità della fragilità di molte persone senza dimora o ex carcerati al momento di tentare l’ingresso nel mondo del lavoro. Pensiamo alla estrema difficoltà, del considerare le ragioni di una famiglia sottoposta a sfratto esecutivo incolpevole”.

Serve sussidiarietà, dice Nosiglia, “specie su problemi quali sono la casa, il lavoro, la salute e che necessitano nuovi piani condivisi che affrontino le situazioni congiuntamente, in modo strutturale e non solo tappando le emergenze mano a mano che si producono. La paura, il preconcetto, lo stigma non sono alieni nemmeno in Torino, nonostante esperienze interessanti che portano luce su questi temi”. E “al centro va sempre posta la persona, mai la conservazione delle proprie posizioni o la semplice realizzazione di progetti che non tengono conto dell’apporto dei poveri”.

Infine una riflessione alla situazione demografica: “Torino è una città che soffre più di tante altre dell’invecchiamento della popolazione” e “la gravissima carenza delle nascite denota la paura del domani, la scarsa speranza nel futuro, la convinzione che il peso anche economico dei figli sia troppo gravoso per le proprie condizioni sociali. Un popolo che non ama la vita va inevitabilmente verso il declino e rischia l’estinzione. Fermare questa deriva è possibile solo se sul piano politico si punta a sostenere in ogni modo e con interventi appropriati la famiglia e i suoi figli e a riformare una mentalità etica e spirituale del grande valore della vita donata e accolta nella propria casa”.

In conclusione l’arcivescovo chiede ai cristiani una fedeltà al Vangelo “che non possiamo né sminuire e né barattare con nessun altro tornaconto o interesse di parte. La coerenza e l’insistenza della Chiesa è radicata nell’impegno di rendere ragione a tutti della speranza che è in noi e può esserla per ogni uomo”. perché c’è “quell’amore più grande che va anche controcorrente, dona se stesso gratuitamente e senza tanti distinguo tra noi e gli altri e opera per il bene di tutti”.