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La predica di Avvento, ricordarsi cosa significa essere Figli di Dio

Padre Cantalamessa |  | Vatican Media Padre Cantalamessa | | Vatican Media

 del tempo, Dio mandò suo Figlio”, tratto dai versetti 4-7 del capitolo 4 della Lettera di San Paolo ai Galati. É questo il tema delle meditazioni per l’Avvento, quest’anno, tenute dal predicatore della Casa Pontificia il cardinale Cantalamessa che  intende “mettere in luce lo splendore interiore della Chiesa e della vita cristiana”, senza “chiudere gli occhi sulla realtà dei fatti”, perché ciascuno possa affrontare le proprie responsabilità nella prospettiva giusta.

Come riporta vaticannews.va Padre Raniero Cantalamessa, si propone di “guardare la Chiesa da dentro, nel senso più forte della parola, alla luce del mistero di cui è portatrice”, perché non si perda di vista il mistero che la abita. 

Le meditazioni si tengono nell’Aula Paolo VI, nei tre venerdì che precedono il Natale.

Oggi il predicatore è partito dal versetto: “Dio mandò il suo Figlio, perché ricevessimo l’adozione a figli” . Per Cantalamessa “Dio non è solo padre in senso metaforico e morale, in quanto ha creato e ha cura del suo popolo”, ma è “prima di tutto padre vero e naturale, di un figlio vero e naturale che ha generato … prima dell’inizio del tempo” e grazie al quale “gli uomini potranno diventare anch’essi figli di Dio in senso reale e non solo metaforico”. Cantalamessa aggiunge: “Noi cristiani diamo spesso per scontato questa realtà di essere figli di Dio. È bene invece fare sempre memoria grata del momento in cui lo siamo diventati, quello del nostro battesimo, per vivere con più consapevolezza il grande dono ricevuto”.

Serve recuperare lo stupore nella fede “ci vuole “la fede-stupore, quello sgranare gli occhi e quell’Oh! di meraviglia” di fronte al dono di Dio, “l’assaporare’ la verità delle cose credute” e il “‘gusto” della verità, compreso il gusto amaro della verità della croce”. Insomma la “verità creduta” deve farsi “realtà vissuta”. Il cardinale Cantalamessa spiega che così nasce la fraternità  che “ha la sua ragione ultima nel fatto che Dio è padre di tutti, che noi siamo tutti figli e figlie di Dio e perciò fratelli e sorelle tra di noi. Non ci può essere un vincolo più forte di questo, e, per noi cristiani, una ragione più urgente per promuovere la fraternità universale”. E questo significa non desiderare di avere ragione rispetto all’altro e avere misericordia gli uni verso gli altri, cosa “indispensabile per vivere la vita dello Spirito e la vita comunitaria in tutte le sue forme”, “per la famiglia e per ogni comunità umana e religiosa, compresa la Curia Romana”.

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