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In preghiera per la pandemia davanti al Volto Santo di Manoppello

La omelia della messa nella domenica Omnis terra celebrata dall'arcivescovo Bruno Forte

Il Santo Volto  |  | CNA
Il Santo Volto | | CNA
L'esposizione della reliquia del Santo Volto  |  | pd
L'esposizione della reliquia del Santo Volto | | pd

Ogni anno si celebra solennemente al Santuario del Volto Santo di Manoppello la messa nella seconda domenica dopo l’ Epifania, la domenica Omnis terra, così chiamata dalle parole del Salmo di introito. 

Dal 1208 questa celebrazione per volere di Papa Innocenzo III è speciale. Il Papa infatti volle che in questa occasione il velo detto della Veronica custodito a San Pietro fosse portato in processione a Santo Spirito in Sassia per la benedizione dei malati e mostrare la forza risanante del Volto di Gesù. 

Il velo secondo la tradizione è quello con il quale Veronica asciugò il volto di Gesù sulla via del Calvario lasciando l’impronta del suo Santo Volto. 

La reliquia sarebbe poi arrivata appunto a Manoppello da dove si è diffuso appunto il culto del Santo Volto. 

Quest’anno la messa è stata celebrata dall’ Arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte che nella omelia ha riletto la narrazione del miracolo di Cana alla luce della teologia del Santo Volto. 

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Pubblichiamo ampli stralci del testo: 

 

Quest’anno il ritorno ciclico dei testi liturgici ci fa ascoltare nella domenica di Omnis Terra il racconto delle nozze di Cana, tratto dal Vangelo secondo Giovanni (2,1-11), fornendoci così una fonte luminosa per meglio contemplare e accogliere il messaggio che viene a noi e a tutta la Chiesa dal Volto Santo qui custodito. Il racconto, peraltro, ci offre la chiave dell’intero Vangelo, come fa capire l’indicazione del versetto finale: “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (v. 11). Quanto Gesù fa a Cana è il principio e il modello di quanto compirà per la nostra salvezza: chi entra nel mistero di Cana, entra nel mistero di Cristo! 

Sullo sfondo del simbolismo dello sposalizio, bellissima metafora dell’alleanza fra il Signore e il suo popolo (cf. Os 2,16-25; Ger 2,1-2; 3,1.6-12; Ez 16; Is 50,1; 54,4-8; 62,4-5), il segno di Cana rivela il Volto di Gesù come quello dello Sposo divino del popolo di Dio, con il quale l’Eterno concluderà l’alleanza nuova e definitiva nel mistero pasquale del Figlio. Le nozze di Cana anticipano la Pasqua di Gesù come evento di alleanza nuziale, compimento e superamento dell’alleanza del Sinai, e manifestano la relazione con l’Altissimo realizzata in Cristo e con Lui come un rapporto intenso e vivificante d’amore.

Il racconto, poi, letto nel luogo che custodisce il prezioso velo del Volto Santo, ci consente di collegare la visione di questo Volto amato al ruolo che nella Chiesa ha Maria, la Madre di Gesù: è lei a notare il bisogno che si è venuto a determinare nella festa di nozze. “Non hanno più vino” (v. 3): si manifesta in queste parole l’attenzione tenera e concreta della Madre, che presenta al Figlio la necessità degli amici. Analogamente, Maria ci accompagna all’incontro col Volto del Salvatore, aiutandoci a rendere profonda e gioiosa l’accoglienza dello sguardo del Figlio, che sana, perdona e colma il nostro cuore di gioia.

Nel vino, inoltre, nominato cinque volte nel racconto (vv. 3.9.10), si lascia riconoscere un altro importante segno dei tempi messianici. Così ne avevano parlato i Profeti: “Dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le colline” (Am 9,13); il vino caratterizzerà il banchetto escatologico, dove sarà offerto con gratuità (cf. Is 25,6 e 55,1). Il vino nuovo allieterà il giorno delle nozze fra il Signore e il suo popolo (cf. Os 2,21-24). In questa luce, il banchetto nuziale di Cana appare come l’ora dell’intervento salvifico di Dio, che viene a colmare in maniera sovrabbondante l’attesa del suo popolo e trasforma l’acqua della purificazione dei Giudei (cf. v. 6) nel vino nuovo del Regno.  

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La lettera della Legge è trasformata nel vino dello Spirito! Nel Volto del Signore Gesù, si fa riconoscere, allora, tanto l’attesa d’Israele, quanto la domanda, piena di desiderio, che abita il cuore inquieto di ognuno di noi, specialmente davanti al dolore del mondo e, in particolare, di fronte al dramma che stiamo vivendo con la pandemia. Questa interpretazione consente di comprendere anche la risposta di Gesù: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (v. 4). L’espressione sottolinea la novità sorprendente che il Cristo apporta e che si manifesterà pienamente nella sua “ora”, quella dell’evento pasquale della Sua passione, morte e resurrezione. È nell’ora di Cristo che il tempo messianico si manifesterà come compimento delle promesse e promessa del nuovo e definitivo compimento: e il Volto sereno del Risorto, pur solcato dai segni della passione, sta qui a ricordarcelo. 

Anche le parole che la Madre rivolge ai servi sono di grande importanza: “Qualsiasi cosa vi dica, fatelo” (v. 5). Esse evocano il contesto dell’alleanza del Sinai: come il popolo dell’antico patto risponde alla rivelazione divina assentendo nella fede - “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8; 24,3.7) -, così Maria manifesta la sua fiducia incondizionata nel Figlio, che ha appena evocato il mistero della sua “ora”. Ne risulta evidenziata da una parte l’identificazione fra Maria e Israele, in forza della quale risuona in lei la speranza del popolo eletto, dall’altra la fede della Madre, che si mostra aperta all’impossibile possibilità del segno che il Figlio vorrà compiere, e che sarà la fede della Chiesa. 

Lo fa capire l’invito che ella rivolge ai “servi” (indicati qui col termine “diakónoi”, con cui in 12,26 Giovanni designa i veri discepoli di Gesù): esso mostra il ruolo di modello e madre nella fede che ella avrà nella comunità dell’alleanza. In Maria l’antico patto passa nel nuovo, Israele nella Chiesa, la Legge nel Vangelo, per via della sua fede totale e incondizionata nel Figlio, al quale orienta sé stessa e gli altri. Nella Chiesa nata dalla Pasqua della nuova e perfetta alleanza, la Vergine Madre è colei che presenta al Figlio i bisogni dell’attesa e conduce alla fede in Lui, condizione necessaria perché il vino nuovo riempia le giare dell’antica purificazione. 

La via per entrare nelle nozze messianiche - sigillate dal sangue dell’Agnello, offerto sul monte del sacrificio - è dunque la fede nel Crocifisso Risorto, la cui ora è anticipata a Cana, quella fede cui ci invita la Madre: “Qualsiasi cosa vi dica, fatelo” (v. 5). Quanto a Cana è prefigurato e annunciato, verrà a compiersi in pienezza in lei, la Madre addolorata ai piedi della Croce: con lei e col discepolo amato, a lei unito, Gesù morente intesse un dialogo, che è modello di quello che ogni credente potrà rinnovare con Lui, lasciandosi guardare dal Volto Santo del Redentore e contemplandolo con umile amore. 

Davanti al Volto di Gesù ogni battezzato può insomma riconoscersi come discepolo amato accanto alla Madre, discepolo che credendo all’amore è oggetto dell’amore infinito del Padre e del Figlio, fedele fino alla croce (v. 26), testimone del mistero fecondo del sangue e dell’acqua, sgorganti dal fianco trafitto di Gesù Crocifisso (v. 35), chiamato a essere annunciatore privilegiato della sua risurrezione (cf. Gv 20,8). Guardando a Maria a Cana e sotto la Croce impariamo anche noi a chiedere al Signore, il cui Volto ci guarda con amore, di aiutarci ad amarLo come Lei Lo ha amato (…)

Come Maria davanti al Volto del Figlio morente per amore nostro, così ognuno di noi davanti al Volto Santo qui custodito possa ottenere di morire con Gesù all’uomo vecchio, per risorgere con Lui all’essere nuova creatura, anticipando nella fragilità del tempo qualcosa dell’infinita bellezza del cielo, che nel Volto Santo qui venerato è rivelata e promessa con la discrezione e l’umiltà dell’amore vittorioso sul male e sulla morte. Amen.