“Servus servorum Dei: è noto che questa qualificazione, da lui prescelta fin da quando era diacono e usata in non poche sue lettere, divenne successivamente un titolo tradizionale e quasi una definizione della persona del vescovo di Roma. Ed è certo, altresì, che per sincera umiltà egli ne fece la divisa del suo ministero e che, proprio in ragione dell’universale sua funzione nella Chiesa di Cristo, sempre si considerò e dimostrò il massimo e primo servitore - servitore dei servitori di Dio -, servitore di tutti sull’esempio di Cristo stesso, il quale aveva esplicitamente affermato di esser venuto non per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita a riscatto di molti”. Così Giovanni Paolo II, il 29 giugno 1990, scriveva di San Gregorio Magno nella Lettera Apostolica Plurimum significans in occasione del XIV centenario dell'elezione del Pontefice.

Gregorio Magno - ricordava Giovanni Paolo II - visse il pontificato come responsabilità: "chi esercita un qualsiasi ministero ecclesiastico deve rispondere di quel che fa non solo agli uomini, non solo alle anime che gli sono affidate, ma anche e prima di tutto a Dio e al suo Figlio, nel cui nome agisce ogni volta che dispensa i tesori soprannaturali della grazia, annuncia la verità del Vangelo e svolge attività direttiva e di governo".

Giovanni Paolo II non manca di fare riferimento alla spedizione voluta da Gregorio Magno per l'evangelizzazione delle isole britanniche. Il ricordo di questo evento - era l'auspicio di Giovanni Paolo II - "può ancora agire efficacemente e spingere a ritrovare, secondo carità e verità le vie benedette dell’unione e dell’intesa fraterna. A Gregorio guardano con immutata ammirazione e venerazione anglicani e cattolici, i quali sull’intrapreso cammino della ricerca ecumenica possono incontrare la sua figura di pastore sollecito e riascoltare la sua parola che li rassicura, li incoraggia e conforta".