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Anche la Settimana Sociale si trasforma da evento a processo

Online il documento di lavoro della prossima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. Una riflessione su democrazia e futuro

Settimana Sociale dei Cattolici in Italia | La copertina del documento di lavoro della 50esima Sociale dei Cattolici in Italia | Settimana Sociale Settimana Sociale dei Cattolici in Italia | La copertina del documento di lavoro della 50esima Sociale dei Cattolici in Italia | Settimana Sociale

Da evento a processo. Sulla scorta di quello che sta avvenendo con il percorso sinodale, anche la Settimana Sociale viene divisa in tre fasi: una di preparazione che va da luglio 2023 al giugno 2024, una di realizzazione nel luglio 2023 e una cosiddetta di generazione da settembre a maggio 2025. Un impegno, insomma, che non finisce con la settimana che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024, e che avrà come tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.

La Settimana Sociale cambia nome, diventa la Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, e cerca di aprire una nuova strada, o perlomeno nuove modalità per raccontarsi e raccontare la situazione sociale di Italia, attraverso le Buone Pratiche, ma anche i Cantieri di Betania aperti nelle diocesi nell’ambito del Cammino Sinodale, che poi saranno chiamati a inviare al Comitato il loro contributo al comitato.

A Trieste ci saranno “Villaggi di Buone Pratiche”, molti eventi aperti al pubblico, “Laboratori di partecipazione” composti da gruppi di circa 20 persone, varie relazioni tematiche. E sarà da lì che si passerà alla fase generativa, basata sulle raccomandazioni che verranno delle Giornate Sociali. Inoltre, si legge nel documento, “il Comitato Scientifico e Organizzatore intende individuare forme di sostegno per le iniziative territoriali che potranno svilupparsi a partire dalle indicazioni maturate nel corso dei lavori”.

Ma cosa sono le Settimane Sociali dei Cattolici in Italia? Nate nel 1907 su intuizione di Giuseppe Toniolo, le Settimane sociali sono riunioni di studio e di confronto per far conoscere ai cattolici il messaggio sociale cristiano, perché questo sia conosciuto.

La prima Settimana Sociale si tenne nel 1907, e da allora si tennero ogni anno fino al 1915, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Si riprese dopo la guerra, ma per poco, perché poi il Fascismo non gradiva l’impegno dei cattolici. Tra il 1945 e il 1970 si fecero di nuovo incontri annuali, e poi tutto si fermò, fino al 1991. Da allora, le Settimane Sociali hanno ripreso a cadenza pluriennale.

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Da quest’anno, la Settimana Sociale non è più dei cattolici italiani, ma “dei cattolici in Italia”, in segno – spiega il documento – “della presenza nel nostro Paese e nelle nostre comunità di persone provenienti da tanti luoghi del mondo, da Paesi cristiani ma non solo, da Paesi in guerra, da Paesi dove la democrazia e i diritti umani vengono negati”.

Cerchiamo di comprendere di cosa parla il documento di preparazione. Il libretto è composto di 38 pagine, e ha una seconda parte che include domande che dovrebbero facilitare la discussione. “Abitiamo – si legge nel documento - un tempo di grandi trasformazioni sociali, politiche e culturali che ci chiede capacità di confronto e di collaborazione con tutti”.

Il documento punta a definire cosa sia la partecipazione oggi, sottolinea che questa è segno della “giovinezza della democrazia”, ricorda che oggi la partecipazione alla vita civile “assume nomi sempre nuovi”, come si nota nella “vitalità” del terzo settore, ma anche da “una nuova economica civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale”, in amministratori lungimiranti, ma anche nella “costruzione di percorsi di progettazione dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune”. Ma c’è anche l’impegno delle Chiese locali per “la creazione di comunità energetiche”.

È una partecipazione che va al di là “del campo del fare, delle buone pratiche, delle azioni concrete”, ma coinvolge anche “la dimensione culturale e spirituale, la capacità di pensiero e di parola, la creatività e l’immaginazione”.

Il documento riconosce che il post pandemia ha rivelato una certa fragilità di crisi nonché l’interdipendenza delle comunità, sottolinea che “proprio oggi che le tante componenti della crisi richiederebbero capacità di costruire alleanze, reti sovranazionali, risposte sistemiche capaci di fare leva sull’azione e l’impegno di molti, il mondo sembra fare passi indietro”, e che in questa situazione con una guerra nel cuore dell’Europa e grandi istituzioni di governo sembrano intorpidite, mette in luce che oggi l’accento viene posto su quello che non c’è (la cosiddetta “Italia senza”) piuttosto che su quello che c’è, e cioè su una sorta di diserzione generale della partecipazione civile.

Ma – si legge nel documento – “se guardiamo oltre le cronache e i dati, se leggiamo con sguardo sapienziale quello che si muove nel tessuto sociale, possiamo scorgere la crescita di tante energie positive ed esperienze innovative”.

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La necessità è quella di “ripartire nei luoghi dove le persone vivono”, in cui “trovare soluzioni alla sfida energetica”, ma anche alla “produzione alimentare, che significa anche cura della terra e del paesaggio”, nonché sulla sfida climatica.

Il documento, in fondo, punta a cercare nuove strade, nuovi percorsi, perché “l’immaginazione non inventa nulla: ricuce, apre spazi, attiva processi, consente di assumersi responsabilità e di dare seguito alle proprie idee, si muove tra una dimensione creativa e una imprenditoriale, nella consapevolezza che le idee rimangono sterili se non diventano progetti, imprese, posti di lavoro, cambiamento reale nelle vite delle persone”.

Insomma, “il vero punto dell’impegno, prima ancora della crisi climatica o della qualità della vita urbana, prima della creazione di legami di comunità, è la capacità di immaginare che possiamo vivere diversamente, che possiamo avere un rapporto più mite con la natura, che possiamo consumare meno e meglio, che possiamo muoverci senza inquinare, che possiamo produrre ricchezza senza devastare l’ambiente, che possiamo ripensare le nostre periferie”.

Sarà da vedere come questo sarà concretizzato a Trieste.