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Beatificazione Ulma, Semeraro: “Hanno difeso la radice da cui Cristo è nato”

Domani la beatificazione per il martirio della famiglia Ulma, uccisa da un commando nazista nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944. Le ragioni della beatificazione spiegate dal Prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi

Beatificazione Ulma | La conferenza stampa del Cardinale Marcello Semeraro, dell'arcivescovo Szal e del postulatore Witold Burda a Markowa, per presentare la beatificazione della famiglia Ulma | AG / ACI Group Beatificazione Ulma | La conferenza stampa del Cardinale Marcello Semeraro, dell'arcivescovo Szal e del postulatore Witold Burda a Markowa, per presentare la beatificazione della famiglia Ulma | AG / ACI Group

Perché la famiglia Ulma è una famiglia martire? Perché “ha difeso la radice da cui Cristo è nato”. E questa radice è la custodia di due famiglie ebree, consapevoli che la pena per l’aver nascosto quelle persone, in quella zona della Polonia, era solo la morte. Uccisi in odio alla fede, dunque, anche se nessuno ha chiesto loro di abiurare. Uccisi in odio alla fede perché hanno dimostrato di essere davvero cristiani, come dimostrava la parabola del Buon Samaritano cerchiata in rosso nella loro consumata Bibbia casalinga, accompagnata da una parola: Sì.

Un passo indietro, per ricordare la storia. Jozef e Wiktoria Ulma, con i loro sei figli, e un settimo in arrivo, vivono a Markowa. È un villaggio di qualche migliaio di persone, con una parrocchia, dedicata a Santa Dorotea, e molta vita contadina. Si trova nell’arcidiocesi di Przemyśl. Quando i nazisti occupano il territorio, stabiliscono che chiunque nasconderà ebrei sarà punito con la morte.

Gli Ulma, però, fedeli alla loro vocazione evangelica, decidono di nascondere nella loro piccola casa due famiglie di ebrei.

Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, le SS, dopo una soffiata, circondano la loro casa. Uccidono le due famiglie di ebrei custoditi e poi, uno ad uno, tutti i membri della famiglia, dal più grande al più piccolo, inclusa Wiktoria, incinta in stato avanzato di gravidanza. Seppelliti in una fossa arrangiata, saranno poi posti in alcune bare, e sarà allora che si scoprirà che il bambino che Wiktoria portava in grembo aveva in qualche modo cercato di nascere, la sua testolina sporgeva. La loro causa di beatificazione, cominciata nel 2003, è la prima causa di beatificazione per martirio di una famiglia intera, e include il bambino che non era ancora nato, ma che si considera aver ricevuto il battesimo del sangue con il battesimo del sangue.

Inizialmente, spiega il Cardinale Semararo, il gruppo scelto per la beatificazione era di mamma, papà e sei figli, perché “il bambino non aveva ancora visto la luce”. Ma “lo studio della causa ha fatto notare che nelle testimonianze si diceva che chi ha veduto il corpo della mamma uccisa, ha visto che il bambino aveva già visto la luce anche se non ancora completamente. Ma noi non parliamo come dei medici, come degli specialisti, parliamo con un linguaggio umano. E dunque il bambino aveva visto la luce, veniva alla luce nel momento in cui la mamma era barbaramente uccisa”.

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Il Cardinale Semeraro ci si rese conto di questa situazione solo in fasi successivo, e questo ha portato i consultori a dire che “i bambini non sono sei, questo ha veduto la luce, e quindi i bambini devono essere sette”. E di questo bambino “non sappiamo nulla, ha avuto un attimo di vita, e quello che ci interessa è che ora vive nel Signore. E quindi questa peculiarità, questa inaspettata evenienza del martirio, ci permette di vedere questo bambino nella luce dei Santi Innocenti”.

Semeraro specifica che “abbiamo diverse forme di battesimo: il battesimo di acqua, il battesimo di desiderio, ma questo bambino non poteva farlo, e poi il battesimo di sangue e questo bambino è stato battezzato nel sangue martiriale della madre, e per questo i consultori hanno accettato che questo bambino sia stato inserito nel gruppo dei martiri, perché ha ricevuto la grazia nel martirio della mamma”.

È un aspetto che “rende unica la beatificazione”. Sono “martiri perché hanno custodito il fratello maggiore, hanno custodito la radice. Dobbiamo mettere in evidenza la radice”. Il secondo tema è “la grazia teologica del sacramento del matrimonio, che è efficace non solo per l’aiuto e per la vita in comune degli sposi, ma anche per i figli”. E infine, “questo battesimo di sangue”.

Il cardinale ha anche sottolineato che la beatificazione degli Ulma è “un riconoscimento di martirio”, che non significa definire che “è stata una famiglia buona, santa, eroica, esemplare”, non definisce il valore della famiglia, ma piuttosto esprime un valore teologico.

Ma come può essere un martirio, dato che è “certo che nessuno dei persecutori ha chiesto alla famiglia Ulma di rinnegare Cristo?  In che cosa consiste l’odio nella fede cristiana se nessuno ha chiesto di rinnegare la fede cristiana?”

Ed è qui che si inserisce l’accoglienza: sono stati uccisi perché avevano accolto e custodito due famiglie ebree, quando era questo era punibile con la morte. Non hanno protetto “il fratello maggiore”, ovvero il fratello ebreo – dice il Cardinale Semeraro, prendendo a prestito una espressione di San Giovanni Paolo II – ma piuttosto “hanno difeso la radice da cui Cristo è nato”.

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Mentre il sacramento del matrimonio include anche i figli nel martirio. Figli, vittime innocenti, che non avevano colpe, ma che partecipano al martirio dei genitori. Ci sono state altre famiglie beatificate, ma sempre con cause separate. Questa è la prima volta che una intera famiglia è stata beatificata”.

Padre Witold Burda, postulatore della causa di beatificazione, ha sottolineato che gli Ulma si sono sempre mostrati fedeli alla loro fede. Ma il martirio – spiega – viene anche dalla motivazione dei persecutori per uccidere la famiglia.

In effetti, gli esecutori materiali dell’eccidio, il comandante Eilert Dieken e il gendarme Józef Kokott, esecutori materiali, “furono mossi – si legge nella postulazione - da odio antisemita e da un’avversione anticristiana persino prevalente”. Era, chiosa padre Burda, un atteggiamento molto ostile alla Chiesa cattolica, tanto che Dieken aveva aveva abiurato dalla sua fede cristiana evangelica, mentre Kokott era parte dei gruppi himmleriani di radice satanista ed esoterica, e – dice Burda – era solito sparare anche sul crocifisso.

I due erano a Markowa, dove tutti si conoscono, e dunque erano consapevoli delle ragioni evangeliche dell’ospitalità degli Ulma, nonché il loro impegno. Decisero di uccidere anche i bambini, presero i soldati più crudeli per il plotone di esecuzione, e – sempre secondo il testo della postulazione – “il massacro fu “festeggiato” con sghignazzi e bevute di vodka, come in un macabro rituale”.