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Tommaso da Tolentino e le missioni francescane

Paolo Vian viceprefetto dell’Archivio Apostolico vaticano, racconta missione ed escatologia dei francescani

Paolo Vian spiega la missionarietà francescana |  | Stefano Lucinato Paolo Vian spiega la missionarietà francescana | | Stefano Lucinato

Ma chi erano gli ‘Spirituali’, alla cui corrente molti missionari appartenevano e di cui sicuramente era partecipe anche Tommaso, come dimostra la sua carcerazione durata per circa un decennio, dall’inizio degli anni Ottanta all’inizio dei Novanta del sec. XIII?. In un pluralismo talvolta sorprendente, questi frati erano però convinti di alcune verità. In primo luogo, l’umanità e la Chiesa erano alla vigilia di eventi terribili e sconvolgenti che preludevano alla fine del tempo e della storia. Applicando e attualizzando lo schema escatologico ereditato dal primo millennio, gli ‘Spirituali’ erano convinti che l’Anticristo o gli Anticristi fossero all’opera o imminenti, che si stesse per scatenare l’ultima lotta fra le forze del bene e del male, che dopo una momentanea affermazione delle seconde avrebbero prevalse le prime e sulla terra, nella storia umana, si sarebbe aperta una fase più o meno prolungata nella quale il Vangelo si sarebbe diffuso, la pace si sarebbe affermata e la convivenza umana sarebbe stata in qualche modo ricondotta alle sue origini prima che il peccato e la morte fossero introdotte nel mondo. Tutto questo sarebbe stato un intermezzo prima di un finale, nuovo e davvero estremo scatenamento delle forze anti-cristiche alla fine vinte dal ritorno definitivo del Signore”.

Partendo da questo passaggio della conferenza del viceprefetto dell’Archivio Apostolico vaticano, Paolo Vian, sul tema delle missioni francescane: ‘Attesa escatologica e azione missionaria: i frati minori fra Duecento e Trecento’, svoltosi a Tolentino, il vice prefetto ci ha raccontato la situazione di quel periodo: “Questo schema escatologico in realtà risente ed è espressione di una grande innovazione introdotta nel XII secolo da un monaco cistercense calabrese, Gioacchino da Fiore. Fu lui a introdurre una novità che infranse lo schema classico e altomedievale del ‘mondo che invecchia’ e irrimediabilmente si corrompe. Gioacchino credeva che prima della fine dei tempi, nel dramma spaventoso degli ultimi tempi, la storia umana vivrà ancora un bagliore di luce e di pace nel quale si realizzeranno le promesse della realtà messianica annunciata dai profeti di Israele. Dai Luoghi Santi nella terra di Gesù ai Balcani, dalla Siria all’Egitto, dalla Romania all’arcipelago greco e alla capitale dell’impero, i francescani si distinsero per la loro opera indefessa e senza risparmio per la salvaguardia della presenza cattolica in quelle terre”.

Per quale motivo san Francesco ha voluto un ordine religioso missionario?

“La missione, non solo tra i fedeli ma anche fra gli infedeli, è connaturale all’esperienza cristiana di san Francesco. Ascoltando il brano della missione degli apostoli aveva compreso definitivamente l’orientamento da dare alla sua vita e ai suoi frati. San Francesco ed i Frati Minori sentirono che Dio li aveva chiamati per l’utilità e la salvezza di ‘tutti gli uomini del mondo, non solo nei paesi dei fedeli, ma anche in quelli degli infedeli’ (FF 1755, 1758). Sia la ‘Regula non bullata’  (1221, al cap. XVI) sia la ‘Regula bullata’ (1223, al cap. XII) contenevano indicazioni per le missioni fra gli infedeli. Poco prima, nel 1219, san Francesco, che già altre due volte aveva cercato di andare in missione, riuscì a recarsi in Egitto dove a Damietta incontrò il sultano al-Malik al-Kamil. L’anno dopo, il 16 gennaio 1220, l’Ordine ebbe i suoi primi martiri, i cinque frati umbri trucidati in Marocco”.

Come si coniuga l’attesa escatologica e l’azione missionaria nei frati minori fra il Duecento e il Trecento?

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“Tutti gli studiosi dell’attesa escatologica medievale concordano nel ritenere che questa ‘non fu paura avvilente come mal intuirono Jules Michelet e Giosuè Carducci…, ma stimolo all’azione, forza operante». Sono parole di uno storico italiano, Raoul Manselli (1917-1984), che ha dedicato gran parte delle sue ricerche all’attesa escatologica nel Medioevo. Sin da Gregorio Magno, fra VI e VII secolo, la consapevolezza che la fine dei tempi si avvicina stimola all’impegno nella storia. La consapevolezza escatologica si traduce in responsabilità storica. Molti missionari francescani, fra Duecento e Trecento, furono partecipi della coscienza di vivere nell’ultima fase della storia. Spesso influenzati dalla teologia della storia dello spiritualismo francescano, vissero la missione ‘ad gentes’ come risposta alla domanda di Gesù: ‘Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?’ (Lc 18, 8)”.

Da cosa erano animati il beato Tommaso da Tolentino ed i francescani alla missione?

“In primo luogo l’esempio di san Francesco, che intendeva condividere la sua esperienza senza considerarla gelosamente un tesoro personale. Ma vi erano anche altre motivazioni. Molti francescani di impronta spirituale trovarono nelle vie dell’Oriente un modo per sottrarsi a persecuzioni e difficoltà vissute nei luoghi di origine (ma poi i contrasti spesso li accompagnarono anche oltremare). Vi erano poi motivazioni latamente ‘politiche’: il papato sperava di stabilire un rapporto con la potenza mongola in funzione anti-ottomana”.

Per quale motivo i frati minori ‘scelsero’ l’Asia?

“Il concilio di Lione, svoltosi nel 1274, è aperto alle prospettive dell’Oriente, con le speranze di unione fra le due chiese anche in funzione anti-ottomana e sempre sognando il recupero della Terra Santa perduta. Vi sono poi condizioni politiche particolarmente favorevoli. Fra XIII e XIV secolo in Asia si afferma un vasto impero dominato da orde mongole capeggiate dal famoso Qubilai Khan, il sovrano incontrato e descritto da Marco Polo nella capitale Cambaluc, l’odierna Pechino. La ‘pax mongolica’, citata anche da papa Francesco lo scorso 2 settembre in un discorso nel suo recente viaggio in Mongolia, con l’ ‘assenza di conflitti’ diede stabilità ad una vasta area asiatica, favorendo i commerci e gli scambi e creando, come era avvenuto ai tempi di Augusto per la nascente fede cristiana, le premesse storiche e politiche per una diffusione del Vangelo”.

In quale modo il beato Tommaso da Tolentino e i frati minori di quel periodo sollecitano oggi i cattolici alla missione?

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“Tommaso proveniva da una Chiesa e da un Ordine in profonda crisi, lacerati dalle divisioni e dai contrasti. Eppure non si lasciò paralizzare e irretire in essi. La sua scelta missionaria non faceva altro che riprodurre l’esempio di san Francesco, che per amore di Dio era stato pronto al martirio, cioè alla testimonianza. Di fronte al mondo che non conosceva Cristo, nella consapevolezza di essere nell’ultima ora della storia, il beato Tommaso superò di un balzo l’autoreferenzialità di una Chiesa litigiosa che mancava ai suoi doveri; senza polemiche prese la via della missione ‘ad gentes’, andando incontro al martirio. Questa forse è la lezione più alta che ancora oggi il beato Tommaso da Tolentino può impartirci: smettere di morderci e divorarci a vicenda, con il pericolo di distruggerci ‘del tutto gli uni gli altri’ (sono parole di san Paolo ai Galati: 5, 15), per guardare intorno a noi gli immensi campi devastati che attendono la parola e la testimonianza, l’annuncio e l’esempio: ‘Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?’. Per questo il beato Tommaso ed i suoi compagni hanno dato la vita”.