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San Giovanni Paolo II e il Ministero Petrino

A 19 anni dalla morte rileggiamo le sue catechesi

San Giovanni Paolo II |  | Wikimedia commons San Giovanni Paolo II | | Wikimedia commons

Diciannove anni fa, poco dopo le 9,30 di sera arrivava l'annuncio della morte di Giovanni Paolo II. Lo ricordiamo con le catechesi che aveva dedicato al Ministero Petrino.

“Insieme vogliamo rendere grazie a Dio per aver fondato la sua Chiesa sulla roccia di Pietro(…), vogliamo pregare intensamente affinché, "tra gli sconvolgimenti del mondo", essa "non si turbi", ma avanzi con coraggio e fiducia”.

Così Giovanni Paolo II salutava i neo cardinali creati nel concistoro del 21 febbraio 2001. Ben 44. Tra loro anche Jorge Mario Bergoglio. La messa viene celebrata il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro. “La sua vocazione e la sua missione di apostolo,- dice il Papa-  riassunte nel nuovo nome di Pietro ricevuto dal Maestro, si basano interamente sul suo rapporto con Lui (Cristo), dal primo incontro, a cui lo chiamò il fratello Andrea, fino all'ultimo, in riva al lago, quando il Risorto lo incaricò di pascere il suo gregge”.

Al ministero petrino il Papa aveva dedicato tra l’altro una serie di catechesi tra il 25 novembre del 1992 e il 24 marzo del 1993. Una serie che seguiva quella sulla figura del vescovo.

Si parte dalla consegna della chiavi e  del “potere” delle chiavi il cui scopo “è di aprire l’accesso al regno, non di chiuderlo: “aprire”, cioè rendere possibile l’ingresso nel regno dei cieli, e non opporvi ostacoli che equivarrebbero a una “chiusura”. Tale è la finalità propria del ministero Petrino, radicato nel sacrificio redentivo di Cristo, venuto per salvare ed essere Porta e Pastore di tutti nella comunione dell’unico Ovile”.

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Nella catechesi del 2 dicembre del 1992 il Papa spiega la missione della Chiesa e di Pietro, storica e nello stesso tempo escatologica. Il compito è quello” di “sostenere i suoi “fratelli” e tutta la Chiesa nella fede. E poiché la fede non si conserva senza lotta, Pietro dovrà aiutare i fedeli nella lotta per vincere tutto quello che toglierebbe o diminuirebbe la loro fede”. Significa: “insegna la fede in tutti i tempi, nelle diverse circostanze e fra tutte le molteplici difficoltà e contraddizioni che la predicazione della fede incontrerà nella storia; e insegnando, infondi coraggio ai fedeli”.

E dunque si tratta di “pascere le pecore” come dice Gesù: "“Confermare i fratelli” e “pascere le pecore” costituiscono congiuntamente la missione di Pietro: si direbbe il proprium del suo ministero universale". 

C’è poi il legame con la sede romana. Nella udienza del 27 gennaio del 1993 il Papa spiega: “il Romano Pontefice è successore del Beato Pietro nel medesimo primato. Questa definizione vincola il primato di Pietro e dei suoi successori alla sede romana, che non può essere sostituita da nessun’altra sede, anche se può accadere che, per le condizioni dei tempi o per loro particolari ragioni, i Vescovi di Roma stabiliscano provvisoriamente la loro dimora in luoghi diversi dalla Città eterna. Certo, le condizioni politiche di una città possono mutare ampiamente e profondamente nei secoli: ma rimane, come è rimasto nel caso di Roma, una spazio determinato a cui è sempre riconducibile una istituzione come quella di una sede episcopale; nel caso di Roma, la sede di Pietro”.

Una scelta dettata dalla storia: “L’evento storico decisivo è che il pescatore di Betsaida è venuto a Roma e ha subito il martirio in questa Città. È un fatto denso di valore teologico, perché manifesta il mistero del disegno divino che dispone il corso degli avvenimenti umani a servizio delle origini e dello sviluppo della Chiesa”.

Pascere il gregge significa anche una missione dottrinale e quindi “esporre la dottrina della fede, promuovendo la conoscenza del mistero di Dio e dell’opera della salvezza e mettendo in luce tutti gli aspetti del disegno divino in corso di attuazione nella storia umana sotto l’azione dello Spirito Santo”. E  “il contenuto dell’insegnamento del successore di Pietro (come degli altri vescovi), nella sua essenza, è una testimonianza a Cristo, all’Evento dell’Incarnazione e della Redenzione, alla presenza e all’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nella storia. Nella sua forma espressiva, può variare a seconda delle persone che lo esercitano, delle loro interpretazioni circa le necessità dei tempi, dei loro stili di pensiero e di comunicazione. Ma il rapporto con la Verità vivente, Cristo, ne è stato, ne è e ne sarà sempre la forza vitale”.

Nella catechesi del 17 marzo Giovanni Paolo II affronta il tema del Magistero “ex cathedra” che si esercita solennemente su particolari punti di dottrina, appartenenti al deposito della rivelazione o ad essa strettamente connessi”.

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Da ricordare che “quasi sempre la ragione delle definizioni “ex cathedra” è questa certificazione delle verità da credere in quanto appartenenti al “deposito della fede” e l’esclusione di ogni dubbio, o addirittura la condanna dell’errore sulla loro autenticità e il loro significato. Si ha così il momento di massima concentrazione, anche formale, della missione dottrinale conferita da Gesù agli Apostoli e, in essi, ai loro successori.

Data la straordinaria grandezza e importanza di tale magistero per la fede, la tradizione cristiana ha riconosciuto al successore di Pietro, che lo esercita da solo o in comunione con i vescovi riuniti in concilio, un carisma di assistenza dello Spirito Santo che si suol chiamare “infallibilità””.

E’ proprio questo il tema che il Papa affronta nella catechesi del 24 marzo, ultima della serie. E conclude: “Accanto a questa infallibilità delle definizioni ex cathedra, esiste il carisma di assistenza dello Spirito Santo, concesso a Pietro e ai suoi successori perché non errino in materia di fede e di morale e diano invece una buona illuminazione al popolo cristiano. Questo carisma non è limitato ai casi eccezionali, ma abbraccia in varia misura tutto l’esercizio del magistero”.