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Santa Caterina da Siena e il suo Epistolario, le parole, dardi infuocati dello Spirito

La lettera a Papa Urbano VI

Santa Caterina da Siena con il Bambino Gesù |  | wikimedia commons Santa Caterina da Siena con il Bambino Gesù | | wikimedia commons

Tutto il poliedrico mondo spirituale e politico di Santa Caterina di Siena vive nel suo vastissimo Epistolario. Nella premessa all’edizione a stampa del 1500, l’editore, grammatico e umanista Aldo Manuzio, rivolgendosi al cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, auspicava che le Epistole devotissime di Caterina da Siena si diffondessero per tutto il mondo per risvegliare nei lettori - proprio in concomitanza con l’anno giubilare del ‘500 - un forte desiderio di riformare moralmente e spiritualmente la travagliata vita politica dell’epoca e il governo spirituale della Chiesa. Manunzio, in sintesi, aveva colto tutta la bellezza e l’importanza delle lettere della santa senese, patrona d’Italia (insieme a San Francesco d’Assisi) per volere di Papa Pio XII (nel 1939) e compatrona d’Europa per volere di Papa Giovanni Paolo II (nel 1999).

Ma chi sono i destinatari di queste preziose missive? L’elenco è sconfinato e i nomi che si susseguono riescono a offrirci un panorama davvero sorprendente: si passa dai pontefici e regnanti ad alcuni semplici religiosi o presbiteri, fino a giungere a buona parte dell’aristocrazia del ‘300. I temi? Altrettanto innumerevoli: dalla vita religiosa alla vita sociale dell’epoca; dai problemi morali a quelli politici che interessavano tutta la Chiesa, l’impero, i regni e gli Stati dell’Europa trecentesca. Ma, in tutto questo elenco, vi è - senza dubbio - un “minimo comun denominatore”, un tema cardine che racchiude tutte le parole vergate in questi scritti: Dio. E’ lui, il Signore, ad essere - infatti - al centro del corpus di lettere alla cui stesura hanno contribuito fortemente i membri della cosiddetta “Bella brigata”, il nucleo più importante di collaboratori della santa senese.

Passare in rassegna, seppur brevemente, le missive sarebbe impresa alquanto ardua se non impossibile. Cerchiamo, allora, di soffermarci su almeno una fra le più significative:  è quella indirizzata a Papa Urbano VI, successore di Gregorio XI. Al nuovo Pontefice, Caterina inviò nove lettere in tutto, invitandolo alla riforma della Chiesa, alla pace con i fiorentini e a lavorare all’unità della cristianità in vista di una nuova crociata. La lettera qui presentata documenta l’attività politica dela mistica Caterina che mira sempre ad unire misticismo e azione politica: “Santissimo e dolcissimo Padre in Cristo dolce Gesù. Io Caterina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondato in vero lume, acciocché, illuminato l’occhio dell’intelletto vostro, potiate cognoscere e vedere la verità; ché, cognoscendola, l’amerete; amandola, riluceranno in voi le virtù. E che verità cognosceremo, santissimo Padre? cognosceremo una verità eterna, con la quale verità fummo amati prima che noi fussimo. Dove la cognosceremo? nel cognoscimento di noi medesimi; vedendo che Dio ci ha creati all’immagine e similitudine sua, costretto dal fuoco della sua carità. Questa è la verità che ci creò perché noi partecipassimo di lui, e godessimo il suo eterno e sommo bene”.

L’incipit è davvero accativante. E lo è ancor di più il seguito che si sprigiona in una viva esortazione a Papa Urbano VI: “In voi, dico; perché in questa vita veruno è senza peccato: e la carità si debbe prima muovere da sé, usarla prima in sé coll’affetto delle virtù, e nel prossimo nostro. Sicché, tagliate il vizio; e se il cuore della creatura non si può mutare; né trarlo de’ difetti suoi, se non quanto Dio nel trae, e la creatura si sforzi coll’adiutorio di Dio a trarne il veleno del vizio; almeno, santissimo Padre, siano levati dalla Santità vostra il disordinato vivere e’ scelerati modi e costumi loro”. Risuona forte, in queste parole, la denuncia di uno stato della Chiesa da cambiare: non c’è più spazio per “il disordinato vivere e’ scelerati modi e costumi”. E, infine, la chiusura della lettera, tutta pregna di un amore inesauribile, umile e perseverante per la Chiesa: “Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia,  sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e loda del nome di Dio, e reformazione della santa Chiesa. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Perdonate, santissimo Padre, alla mia ignoranzia, che ignorantemente presumo di parlare a voi. Umilmente v’addimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore”.

Nella Storia, ogni tipologia di epistolario - sia esso di natura spirituale, artistica, letteraria o politica - è sempre stato oggetto di studio da parte di insigni studiosi della Letteratura. In fondo, lo stile di una lettera può dirci tanto della personalità di chi la scrive. Le parole, soprattutte quelle scritte in una missiva, sono sempre un ordito di uno speciale telaio: dal loro intreccio, può ben fuoriuscire “il volto” di chi le ha scritte. Così avviene per l’Epistolario della santa. Le lettere oltre ad essere state esaminate nella sua chiave spirituale e politica, sono state oggetto di studio anche da parte di insigni critici letterari come, ad esempio, il linguista Giacomo Devoto che - in un suo saggio del 1941 -  sottolineava  soprattutto le variazioni nello stile in tutta la produzione epistolare di Santa Caterina. In questo studio, inoltre, veniva evidenziato uno schema che ricorre in tutte le missive: al “desiderio” della santa posto nell’incipit segue prevalentemente l’esposizione di una meditazione morale o spirituale; di seguito, una narrazione di eventi storici connessi alla precedente esposizione; e, infine, “la chiusa” che esprime sempre un’esortazione precisa.

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Immegersi nelle pagine dell’Epistolario è fare un viaggio all’interno dell’anima della santa, così poliedrica, così preziosa per la Chiesa universale, così sempre attuale.