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Giubileo delle famiglie: Adriano Bordignon racconta la speranza delle famiglie

Intervista al presidente nazionale del Forum delle Famiglie Adriano Bordignon

Adriano Bordignon | Adriano Bordignon | Credit Forum delle associazioni familiari Adriano Bordignon | Adriano Bordignon | Credit Forum delle associazioni familiari

Il Rapporto annuale 2025 dell’Istat ha illustrato gli sviluppi demografici, sociali ed economici che hanno interessato l’Italia nell’anno appena trascorso: al 1° gennaio la popolazione residente in Italia è scesa sotto i 59.000.000: la natalità continua a calare, sfavorita dal ridotto numero di donne in età fertile: nel 2024 si sono registrate solo 370.000 nascite, quasi 200.000 in meno rispetto al 2008. La fecondità ha toccato un minimo storico di 1,18 figli per donna e prosegue il rinvio della genitorialità. Il saldo migratorio, pure essendo ampiamente positivo, è insufficiente a compensare la perdita di popolazione. Nel 2024 gli ingressi dall’estero sono 435.000, in aumento rispetto al periodo pre-pandemico. 

A pochi giorni dal giubileo della famiglia, che si svolge dal 30 maggio al 1 giugno, abbiamo chiesto al presidente nazionale del Forum delle Famiglie, Adriano Bordignon, di raccontarci come sia possibile declinare il tema della speranza in chiave familiare: “Nel documento finale del Sinodo del 2024 vi è una descrizione molto bella della speranza che si annida nella famiglia: ‘Nonostante le fratture e le sofferenze che le famiglie sperimentano, restano luoghi in cui si apprende a scambiarsi il dono dell’amore, della fiducia, del perdono, della riconciliazione e della comprensione’. In fondo, è proprio così. La famiglia è il primo luogo vocato alla speranza, che si genera naturalmente nelle relazioni familiari: quando ci scopriamo figli si genera in noi la certezza di essere stati amati e desiderati; nello sguardo di una madre ogni figlio cerca lo sguardo del padre, e la paternità è essenziale a ciascuno di noi per poterci aprire alla vita, al futuro, alla speranza; è tra fratelli che scopriamo una comune maternità e paternità, che ci lega e genera forze vitali; è nella relazione nonni-nipoti che scopriamo radici lontane che ci trascendono.

 

Nell’intrecciarsi di queste relazioni, la famiglia che accoglie la vita, dice al proprio figlio: ‘Tu sei una promessa, perché in te è scritto il principio della vita’, con le sue domande inesauribili e il suo orizzonte di futuro. Questa ricchezza appartiene in sé al principio famiglia. Per questo è importante che i giovani credano in essa e desiderino costruirne una propria. Non esiste al mondo nessun un altro sistema di relazioni umane così potente, nel quale siano inscritte la speranza e la vita”.

 

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Allora perché anche le famiglie fanno un giubileo?

“Il Giubileo è un tempo di grazia e rinnovamento, e le famiglie ne hanno bisogno. Vivono fatiche quotidiane, ma anche grandi speranze. Giubilare significa riconoscere che l’amore familiare, pur fragile, è parte di un disegno più grande. E’ il momento per riscoprire la vocazione generativa della famiglia, non solo biologicamente, ma anche culturalmente e socialmente”. 

 

Le famiglie italiane possono davvero giubilare?

“Sì, anche se oggi è più difficile. Le famiglie si sentono spesso sole, senza sostegni adeguati. Il Giubileo può aiutarle a sentirsi parte di una comunità viva, che le riconosce come risorsa. Ma perché possano giubilare davvero, serve che le istituzioni smettano di considerarle un costo e inizino a sostenerle concretamente.  Papa Francesco nella bolla giubilare ‘Spes non confundit’ ci ricorda: ‘Guardare al futuro con speranza equivale ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere… in tante situazioni tale prospettiva viene a mancare e la prima conseguenza è la perdita del desiderio di trasmettere la vita’. Come famiglie ci sentiamo chiamate a riaccendere le fiaccole dell’entusiasmo e della speranza per offrire un contributo al bene”.

 

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In quale modo le famiglie possono vivere la dimensione spirituale del Giubileo coniugandola con la vita sociale?

“Il Giubileo ci invita a dare segni visibili di speranza. Uno di questi può essere l'esperienza di volontariato che le famiglie possono far fare ai propri figli o fare con i propri figli, attivando in tal caso dinamiche fortemente educative. C’è un grandissimo bisogno di dedicarsi agli altri nei giovani. Prendersi cura, sentirsi utili, generare un sorriso quando doni qualcosa di te a un altro è ciò che apre un giovane al senso della propria vita e alla speranza. E’ ciò che ti fa uscire da te stesso e ti fa scoprire la ricchezza delle relazioni umane. E’ così che si generano solidarietà e bene comune”. 

 

Quanto conta il Family Global Compact?

“E’ uno snodo importante con grandi potenziali ad oggi ancora non del tutto espressi. Promosso da Papa Francesco, è un patto educativo che coinvolge accademia, istituzioni e società civile per rimettere la famiglia al centro. Serve a costruire un nuovo modello culturale in cui la famiglia sia riconosciuta come motore di sviluppo umano, economico e sociale. Non c’è futuro senza famiglia. L’esperienza ce lo mette davanti gli occhi ma abbiamo bisogno di parole nuove per dirlo in un mondo che sta cambiando precipitosamente”.

 

Come rilanciare la cultura della natalità?

“Nella bolla ‘Spes non confundit’ viene sottolineato che la prima conseguenza di una speranza che si affievolisce è la perdita del desiderio di trasmettere la vita: a causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la logica mercantilista anziché la centralità della persona e la cura delle relazioni. Ai potenziali genitori servono maggiori sicurezze e maggior coraggio. Il crollo della fecondità a 1,18 figli per donna e il rinvio della genitorialità raccontano un disagio profondo. Le coppie non fanno figli perché mancano stabilità, servizi e fiducia nel futuro. Abbiamo bisogno di un ecosistema sociale favorevole alla vita e alla cura delle relazioni: sostegno al lavoro femminile, accesso alla casa, servizi per l’infanzia, rafforzamento dell’assegno unico. Ma serve anche un cambio di narrazione: tornare a raccontare la bellezza della vita e della famiglia”.

 

Perché il Forum punta sui giovani?

“Perché sono già il presente ma soprattutto sono il futuro, ma spesso non sono messi nelle condizioni di costruirlo. Il desiderio di famiglia esiste, ma è ostacolato da precarietà e solitudine e da modelli di umanesimo troppo individualisti e consumisti. Il Forum delle Famiglie lavora con i giovani con l’obiettivo di aiutarli a progettare la propria vita affettiva, professionale e sociale con consapevolezza e fiducia. Se non si investe su di loro, si la speranza si spegna come una candela privata dell’ossigeno”.

 

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Cos’è il progetto ‘Fosbury’?

“Ispirato all’atleta Dick Fosbury, che rivoluzionò il salto in alto, inventando il salto dorsale e vincendo le olimpiadi a Città del Messico, è un percorso ‘capacitativo’ rivolto ai giovani. L’idea è quella di accompagnarli a superare gli ostacoli  della vita senza offrire scorciatoie o fare gli ‘adulti spazzaneve’, aiutandoli a scoprire le proprie risorse, il gusto della sfida e della vita sociale e a credere nella possibilità di una vita piena, anche familiare. E’ un investimento educativo per generare nuove relazioni e, nel tempo, nuova natalità, nuova cittadinanza, nuova speranza”.