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Giornata Mondiale contro le Droghe. La testimonianza di Andrea

La testimonianza di Andrea che da un anno abita nella ‘Casa del Giovane’. Un ragazzo che sta uscendo dal tunnel della dipendenza

I giovani della comunità ‘Casa del Giovane’ di Pavia | I giovani della comunità ‘Casa del Giovane’ di Pavia | Credit S.F I giovani della comunità ‘Casa del Giovane’ di Pavia | I giovani della comunità ‘Casa del Giovane’ di Pavia | Credit S.F

“Non chiediamoci solo cosa fanno i giovani. Chiediamoci perché lo fanno. Non cosa non va, ma cosa – o chi – manca: in  occasione  della  Giornata  Mondiale  contro   le  Droghe,  sentiamo  il  bisogno  di  fermarci. Di rallentare per un momento, respirare, e provare a guardare la realtà con uno sguardo nuovo. Uno sguardo   più   umano.   Siamo   abituati   a   parlare   dei   giovani   elencando   ciò   che   non   funziona: dipendenze, comportamenti a rischio, numeri che spaventano. Ma ci chiediamo mai davvero cosa cercano? Cosa li muove? Cosa – o chi – manca nella loro vita?”

 

Partiamo da una riflessione dello psicologo Simone Feder, educatore e coordinatore dell’area Giovani nella comunità ‘Casa del Giovane’ di Pavia, per ragionare sul significato di questa Giornata mondiale contro le droghe: “Quando un giovane si rifugia in una sostanza, in una fuga, in un gesto estremo, raramente è un capriccio. Spesso è un grido. Un bisogno di essere visto, ascoltato, accolto. E’ un modo (forse l’unico che conoscono) per dire che qualcosa fa male. 

 

E che, da soli, non ce la fanno più. Viviamo un tempo complesso, che non risparmia nessuno, ma che pesa in modo particolare su chi è giovane. Si cresce in fretta (troppo in fretta) in un mondo che cambia continuamente: il digitale amplifica emozioni e solitudini, la pandemia ha lasciato ferite profonde, la crisi climatica genera paure, il lavoro promette poco e spesso toglie molto”. Per Simone Feder si deve sviluppare un’azione per far sentire a casa i giovani: “In ambito preventivo e di cura, non possiamo aspettare che i ragazzi vengano da noi. Siamo noi a dover andare verso di loro. Anche nei luoghi più difficili. Anche dove il disagio fa paura. Non servono solo nuovi progetti o servizi. Serve un nostro modo diverso di stare nei servizi. Serve che le nostre strutture non offrano solo prestazioni, ma diventino casa. Casa dove il bisogno venga accolto con cura, rispetto, ascolto. Serve un nuovo patto educativo: autentico, coraggioso, condiviso”.

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Per questo è necessaria una comunità che sappia ‘investire’ nei giovani: “Serve una comunità che non lasci soli i suoi giovani. Che non abbia paura di sporcarsi le mani, che sappia camminare accanto senza invadere, che sappia ascoltare prima di giudicare. Parlare di attenzione e prevenzione significa esserci, ogni giorno. Significa entrare nei luoghi dei giovani (fisici e digitali) con umiltà, rispetto, fiducia. Significa investire in cultura, sport, arte, esperienze belle. Perché la bellezza salva. I ragazzi hanno bisogno di sperimentare il bello e il possibile, non solo il limite e il pericolo. Hanno bisogno di spazi dove possano esprimersi, fallire senza perdersi, sentirsi accolti senza dover dimostrare nulla”.

 

Una comunità capace di ascoltare i giovani: “Un giovane ascoltato oggi è un adulto capace di costruire, inventare, progettare domani. Abbiamo   bisogno di un’alleanza vera. Un’alleanza tra adulti e giovani, tra famiglie, scuole, servizi, parrocchie, associazioni e istituzioni. Un’alleanza che sappia dire, con forza e con amore: nessun giovane può crescere da solo”. Ed infine lo psicologo ha chiesto un ‘cammino’ quotidiano con i giovani: “Noi adulti abbiamo il compito più difficile e più bello: esserci davvero. Camminare accanto a loro, non da lontano, ma con una presenza concreta. Non solo nelle emergenze, ma nella cura quotidiana dei legami. Perché ogni giovane che si sente visto, ascoltato e stimato, è un giovane che, ogni giorno, può scegliere di restare, di vivere pienamente, di fiorire, nonostante tutto”. 

Un ‘cammino’ che, grazie all’aiuto degli adulti (genitori  ed operatori) è stato compiuto da Andrea, da un anno abita nella ‘Casa del Giovane’, che racconta: “A 12 anni c’era una forza dentro di me che mi spingeva a togliermi la vita. Oggi, a 15 anni, dopo un anno in comunità, c’è una forza dentro di me, che mi spinge a viverla”.

 

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Per quale motivo hai fatto uso di droghe? 

“Penso per scappare ed isolarmi dalle situazioni spiacevoli che vivevo ogni giorno, chiudendomi nell'effetto della sostanza”.

 

In quale modo hai iniziato?

“Da solo. Vivendo in un quartiere poco raccomandabile avevo accesso facile a pressoché qualsiasi tipo di sostanza, dai cannabinoidi agli anestetici”.

 

Perché volevi toglierti la vita?

“Vivevo ogni giorno circostanze deprimenti e man mano che il tempo passava si affievoliva la fiamma di speranza in me, giungendo alla conclusione finale. Fortunatamente i miei genitori mi hanno preceduto e quella sera mi hanno portato in ospedale”.

 

E come sei ‘rinato’?

“Con molto lavoro duro e forza di volontà. Io ci sono riuscito trovando persone qualificate all’interno di questa comunità e grazie al supporto dei servizi. Non è mancato l’aiuto da parte dei miei genitori per quanto riguarda il mio benessere e nel sostegno nei miei progetti futuri”.

 

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Oggi cosa fai?

“Cerco di riprendere un ritmo di vita ‘standard’; pratico arrampicata, vado a scuola, faccio l’animatore all’oratorio estivo, torno a casa i weekend e cerco di costruire amicizie nuove e sane”.

 

Quali sono i tuoi sogni?

“Il mio sogno è quello di diventare psicologo o comunque lavorare nel campo del disagio dovuto alle dipendenze… Credo fortemente che la mia esperienza possa essere di aiuto ad altri nella mia situazione simile a quella passata”.