«Ami la giustizia e la malvagità detesti» cita il salmo 45. Un salmo che - secondo papa Leone XIV - ci ricorda “ciascuno di noi a fare il bene ed evitare il male”. Parla di sete di giustizia che “è lo strumento-cardine per edificare il bene comune in ogni società umana”: poiché nella giustizia, infatti, “si coniugano la dignità della persona, il suo rapporto con l’altro e la dimensione della comunità fatta di convivenza, strutture e regole comuni. Una circolarità della relazione sociale che pone al centro il valore di ogni essere umano, da preservare mediante la giustizia di fronte alle diverse forme di conflitto che possono sorgere nell’agire individuale, o nella perdita di senso comune che può coinvolgere anche gli apparati e le strutture”, così continua il pontefice.
Va alla radice del termine, papa Leone XIV: “La giustizia è, anzitutto, una virtù, vale a dire, un atteggiamento fermo e stabile che ordina la nostra condotta secondo la ragione e la fede” ricorda il papa. E aggiunge che “la virtù della giustizia, in particolare, consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto”. In questo contesto, allora, per il credente - secondo papa Leone XIV - “la giustizia dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune”, ricordando il Catechismo della Chiesa cattolica ai presenti. Papa Leone XIV ricorda, allora, che uno dei più importanti obiettivi della giustizia è quello di essere “garante di un ordine a tutela del debole, di colui che chiede giustizia perché vittima di oppressione, escluso o ignorato”.
Il pontefice elenca, allora, alcuni episodi evangelici: si alternano nelle sue parole il Vangelo di Luca (l’insistenza della vedova che induce il giudice a ritrovare il senso del giusto); cita il Vangelo di Matteo (per la giusta paga dell’operaio). E ancora, sempre il Vangelo di Matteo nel perdonare “non sette volte, ma settanta volte sette”.
Continua, poi, il pontefice: “La giustizia evangelica, quindi, non distoglie da quella umana, ma la interroga e ridisegna: la provoca ad andare sempre oltre, perché la spinge verso la ricerca della riconciliazione”. E sottolinea che “il male, infatti, non va soltanto sanzionato, ma riparato, e a tale scopo è necessario uno sguardo profondo verso il bene delle persone e il bene comune”. Un compito che papa Leone XIV definisce “arduo”, ma “non impossibile per chi, cosciente di svolgere un servizio più esigente di altri, si impegna a tenere una condotta di vita irreprensibile”.
La giustizia, quindi, per il pontefice deve tendere “verso gli altri, quando a ciascuno è reso quanto gli è dovuto”. Deve raggiungere “l’uguaglianza nella dignità e nelle opportunità fra gli esseri umani”. Allo stesso tempo, papa Leone XIV è consapevole tuttavia “che l’effettiva uguaglianza non è quella formale di fronte alla legge. Questa uguaglianza, pur essendo una condizione indispensabile per il corretto esercizio della giustizia, non elimina il fatto che vi sono crescenti discriminazioni che hanno come primo effetto proprio il mancato accesso alla giustizia”. Ma qual è, allora, la “vera uguaglianza”? Il pontefice risponde: “La possibilità data a tutti di realizzare le proprie aspirazioni e di vedere i diritti inerenti alla propria dignità garantiti da un sistema di valori comuni e condivisi, capaci di ispirare norme e leggi su cui fondare il funzionamento delle istituzioni”.
Agli operatori di giustizia spetta il compito della “ricerca o il recupero dei valori dimenticati nella convivenza”. Una ricerca, un recupero che implica un “processo utile e doveroso”, soprattutto davanti “all’affermarsi di comportamenti e strategie che mostrano disprezzo per la vita umana sin dal suo primo manifestarsi” e che “negano diritti basilari per l’esistenza personale e non rispettano la coscienza da cui scaturiscono le libertà. Proprio attraverso i valori posti alla base del vivere sociale, la giustizia assume il suo ruolo centrale per la convivenza delle persone e delle comunità umane” tiene a precisare il papa.
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E’ importante, dunque, per avere una vera giustizia “pensare sempre alla luce della verità e della sapienza” e interpretare la legge “andando in profondità, oltre la dimensione puramente formale, per cogliere il senso intimo della verità di cui siamo al servizio”. Esercitare la giustizia - continua papa Leone XIV - vuol dire inoltre porsi “al servizio delle persone, del popolo e dello Stato, in una dedizione piena e costante”.
E, citando l’episodio evangelico delle Beatitudini del Vangelo di Matteo sottolinea che “avere “fame e sete” di giustizia equivale a essere consapevoli che essa esige lo sforzo personale per interpretare la legge nella misura più umana possibile, ma soprattutto chiede di tendere a una “sazietà” che può trovare compimento solo in una giustizia più grande, trascendente le situazioni particolari”.
Guardando poi al contesto internazionale dice: “Cari amici, il Giubileo invita a riflettere anche su un aspetto della giustizia che spesso non è sufficientemente focalizzato: ossia sulla realtà di tanti Paesi e popoli che hanno “fame e sete di giustizia”, perché le loro condizioni di vita sono talmente inique e disumane da risultare inaccettabili”. Cita, allora, sant’Agostino in merito. Sototlinea che “all’attuale panorama internazionale andrebbero dunque applicate queste sentenze perennemente valide: «Senza la giustizia non si può amministrare lo Stato; è impossibile che si abbia il diritto in uno Stato in cui non si ha vera giustizia. L’atto che si compie secondo diritto si compie certamente secondo giustizia ed è impossibile che si compia secondo il diritto l’atto che si compie contro la giustizia [...] Lo Stato, in cui non si ha la giustizia, non è uno Stato. La giustizia infatti è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo. Dunque non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo stesso al Dio vero»”. Invita, dunque, a tutti gli operatori a ispirarsi a queste parole del santo Vescovo d’Ippona.