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L'amore di san Giovanni Paolo II per la poesia e il teatro

Oggi la memoria liturgica del pontefice polacco. Un viaggio nel suo animo poetico e di drammaturgo

Un frammento del manoscritto del dramma di Karol Wojtyła Un frammento del manoscritto del dramma di Karol Wojtyła "Il fratello del nostro Dio" | Un frammento del manoscritto del dramma di Karol Wojtyła "Il fratello del nostro Dio" | Credit Fondazione vaticana Giovanni Paolo II

Un uomo, un papa, un santo fondamentale per la storia della Chiesa: è san Giovanni Paolo II. Un pontefice che fin dal principio ci aveva abituati al suo tono di voce, stentoreo, caldo, avvolgente. Le sue parole arrivavano dritte al cuore. Forse, dietro a questa "vis comunicativa" c’era tutto il suo passato da attore. Dobbiamo ritornare con la memoria al 1934, quando il giovane Karol Wojtyła partecipava in maniera continuativa a delle riunioni di un gruppoo di giovani polacchi. Quel gruppo annunciava il suo “Teatro di parola”. Periodo esaltante per la sua partecipazione teatrale, che proseguì anche durante l’occupazione tedesca del 1939. Questo il ricordo di un compagna e amica di quel tempo di Karol, attore: “Erano quelli anni straordinari, nonostante le umiliazioni, la paura, la miseria. Non badavamo al pericolo, eravamo giovani e volevamo combattere e studiare. Il nostro teatro lottava per conquistare la libertà non con le armi che usavano i nostri coetanei, ma con l’arma della parola polacca cancellata dai Tedeschi”. La testimonianza si trova nell’interessante volume “Quando Karol aveva diciott’anni”, Edizioni Paoline. Erano, quelli, gli anni di grande fermento intellettuale, legato a quello politico, di una Polonia invasa dai tedeschi. Wojtyła, all’epoca, un ragazzo di bella presenza (come si direbbe oggi), frequentava i circoli culturali universitari, fucina di compagnie teatrali del cosiddetto “teatro rapsodico”, o “teatro della parola”. Tanti i drammi interpretati dal giovane Lolek, messi in scena di nascosto, per timore delle truppe del Terzo Reich.

 

Un santo-attore, dunque. Ma soprattutto poeta. E l’amore per la poesia lo si deve a un altro santo, il carmelitano Giovanni della Croce. Il santo carmelitano fu fondamentale per il cammino d’artista e spirituale per Wojtyla. Il futuro santo polacco, infatti, “incontrò” le pagine del capolavoro teologico-mistico-poetico della “Notte Oscura”. Fu proprio a seguito della lettura di questo libro, che il giovane polacco ebbe una sorta di coup de foudre per la teologia e per la poesia. Basterebbe rileggere i versi del suo poema “Rive colme di silenzio” del 1946 per renderci conto di quanta influenza abbia avuto il santo carmelitano nella sua vita: “Lontane rive di silenzio cominciano appena al di là della soglia./ Non le sorvolerei come un uccello./ Devi fermarti a guardare sempre più in profondità/ finché non riuscirai a distogliere l’anima dal fondo”. I versi che Wojtyla usa ricordano molto lo schema letterario del santo carmelitano. Bisogna ricordare che come poeta e drammaturgo, scrisse sotto gli pseudonimi di Andrzej Jawień, AJ, Piotr Jasień e, dopo il 1961, Stanisław Andrzej Gruda. Le poesie di Wojtyła, firmate sotto pseudonimi, apparvero sulla stampa cattolica a partire dal 1950. Ricordare tutta la produzione poetica del santo polacco sarebbe impresa non facile. Sono tante, infatti, i poemi scritti fino ad arrivare a quando - da pontefice - scriverà il “Trittico romano”: il racconto della sua elezione a successore di Pietro, in forma poetica. 

 

E dalla poesia al teatro, il passo è breve. Per quella forza intrinseca di spiegare, di rivelare agli Uomini l’Uomo, attraverso immagini che divengono concetti, la drammaturgia diviene il “naturale habitat” delle sue intuizioni sulle profondità dell’Umanità, oggetto che la filosofia e la teologia ha sempre cercato di indagare. Il filosofo Giovanni Reale, dirà infatti:  “Wojtyła ha iniziato con l’essere poeta e drammaturgo, poi ha proseguito il suo cammino come filosofo e teologo. Wojtyła riunisce dunque in sé le tre grandi componenti del pensiero, e perciò costituisce quella figura emblematica di un uomo che in vari modi percorre tutte queste vie per raggiungere la Verità”.

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Il Teatro è composto da un immaginario reale che nella finzione trova la sua Verità. E’ il caso del personaggio/pittore Adamo nell’opera teatrale “Fratello del nostro Dio” (prima stesura del 1944) che dipingendo una tela che potrebbe benissimo assurgere a metafora del cosiddetto “mondo fittizio”, o meglio, “finto” del Teatro, riesce a penetrare meglio in sé stesso. L’Arte diviene ricerca del sé e, di seguito, sua scoperta. Nel “venerare” l’Uomo dipinto, Adamo arriva a quella consapevolezza di sé che gli fa dire: “Tu per me devi assumere questa forma. La forma che abbraccio con l’anima, e queste macchie di colore sulla tela – e Tu in tanti uomini – una cosa sola – Eppure così ti perpetuerò in tanti, tanti uomini. Ma che male c’è in questo? – Forse che ciò può opporsi a Te? No, no. (…) I miei occhi non riescono più a vederTi – ma nello stesso tempo io Ti vedo in modo sempre più penetrante. Com’è possibile?”.

Non è possibile non ricordare, in questo viaggio nell'anima poetica di san Giovanni Paolo II, la sua opera teatrale più famosa, “La bottega dell’orefice”, incentrata sull’amore coniugale che divine anche “emblema” di un amore ancora più vasto, quello che arriva a lambire Dio. L’autore polacco farà dire al personaggio-Coro, a un certo punto della narrazione scenica, che “l’Uomo è Amore”. 

Antropologia, filosofia, teologia: tutto si addensa nelle pagine delle opere poetiche e drammaturgiche dell'autore polacco. Una produzione che andrebbe sempre più riscoperta e studiata al pari dei documenti del suo magistero. 

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