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Alloggiare i pellegrini: la diocesi di Napoli nella missione di attualità

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Ispirata alla quarta opera di misericordia corporale, sul sito della diocesi di Napoli è stata pubblicata, in anteprima, la lettera pastorale ‘Accogliere i pellegrini’ del card. Crescenzio Sepe, che sarà distribuita ai fedeli in occasione della celebrazione eucaristica che darà inizio all’anno pastorale il 14 settembre nella cattedrale della città.

Nell’esordio il card. Sepe richiama alla memoria ‘la preziosa eredità della tenerezza spirituale’ del Giubileo della Misericordia: “Nel linguaggio di papa Francesco abbiamo avuto la percezione viva che Dio ci ama in modo incondizionato, ci accoglie per come siamo, ci tiene tra le sue braccia, ci mette in piedi dopo ogni caduta, ci consente di camminare con fiducia incontro al nostro avvenire. Con una tale gioiosa consapevolezza nel cuore siamo spinti a guardarci intorno con occhi nuovi, a proseguire con maggiore fiducia il nostro cammino, a puntare su una nuova tappa del nostro progetto pastorale”.

E, dopo le iniziative sviluppate intorno al tema dello scorso anno ‘Vestire gli ignudi’, il vescovo di Napoli propone ai fedeli la quarta opera di misericordia, che è molto drammaticamente attuale e richiama ognuno alle proprie responsabilità: “Tale opera tocca una delle fibre più profonde della nostra umanità, presente in ogni cultura, praticata da tutti i popoli. Nel cristianesimo, poi, rappresenta un’indicazione centrale, avvertita come una specifica modalità del discepolo di Gesù che, nell’ospite, accoglie il suo stesso Maestro”.

Infatti nell’antichità in tutte le religioni il pellegrino rappresentava un ‘qualcosa di sacro’. Per quanto riguarda la tradizione biblica nell’Antico Testamento il pellegrino era una benedizione, perchè lo stesso popolo ebreo aveva vissuto la migrazione, come era scritto nel libro del Levitico: “E la condizione di forestiero non termina con l’entrata nella Terra Promessa, ma dura per sempre”. Anche il Nuovo Testamento presenta Gesù come pellegrino, addirittura migrante in Egitto: “Alla fine dei tempi, quale Signore della storia, userà il criterio di valore proprio dell’ospitalità: ‘Venite, benedetti del Padre mio… perché ero forestiero e mi avete ospitato’”.

Ricordando l’ospitalità delle famiglie a chi era migrante di alcuni decenni fa, il card. Sepe sottolinea che l’identificazione dello straniero non costituiva un problema: “Quando lo si accoglieva in casa, non gli veniva chiesto né il nome né la provenienza. Era sufficiente trovarsi di fronte a un forestiero in difficoltà per far scattare il dovere dell’ospitalità, la volontà dell’accoglienza. In realtà, alla base di tale costume c’era la consapevolezza che migrante è ogni uomo, pellegrino dell’Eterno”.

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Riprendendo la ‘Lettera a Diogneto’ il vescovo di Napoli sottolinea che l’ospitalità è un ‘dovere’ sacro: “Quando doniamo ospitalità a qualcuno, in casa, nel nostro cuore, nell’incontro degli sguardi, noi sperimentiamo la magia di un nuovo inizio. E’ la stessa originaria seduzione che gustiamo, ogni volta, nell’incontro con Colui che ci ha dato la vita e ci ha resi ospiti. E’ Lui che scorgiamo nel volto d’altri, perché tutti i volti sono il Suo, ed è questa la ragione per cui Egli non ha volto. Accogliendo gli ‘altri’ con rispetto, ci viene donata la possibilità di toccare ‘la carne viva di Cristo’, come ammonisce papa Francesco”. Riprendendo il n^ 2447 del Catechismo della Chiesa Cattolica sull’ospitalità il card. Sepe richiama la Chiesa napoletana a ‘prendersi carico’ di questa emergenza sociale: “Noi, Chiesa di Napoli, con le nostre organizzazioni, dobbiamo farci carico di una più attenta opera di sensibilizzazione delle coscienze, di un sostegno materiale e morale, di un accompagnamento vigile e concreto di queste persone in percorsi di inserimento nella comunità. Impariamo, come ci insegna papa Francesco, ad abbattere muri e costruire ponti di solidarietà e fraternità”.

E quale è il compito della parrocchia? Come può una comunità ecclesiale essere il fulcro per una nuova integrazione? Alle domande il card. Sepe prova ad abbozzare alcune linee programmatiche per affrontare questo ‘orizzonte inedito’: “Da queste premesse si generano numerosi percorsi integrativi: condividere la responsabilità per il proprio territorio, organizzare insieme momenti di spiritualità interreligiosa, far festa per una comune ricorrenza, offrire il doposcuola ai ragazzi scolasticamente più fragili… In questo modo anche la nostra comunità religiosa si caratterizzerà per un profilo dinamico, dialogico e multiculturale. Così, ad esempio, il gioco può essere un mezzo importante, un approccio privilegiato per l’integrazione dei ragazzi, anche di altre appartenenze culturali e religiose”. Riprendendo la storia biblica di Isacco ed Ismaele, che crescevano armonicamente, il card. Sepe indica una attenzione particolare al gioco: “L’inclusione rappresenta un processo lungo e complesso in cui, a partire dai bambini, si condividono le stesse esperienze di vita e tutti si sentono ugualmente valorizzati, perché a tutti sono date uguali opportunità di crescita. Lo stesso può dirsi della musica, ottimo strumento d’integrazione soprattutto dei giovani”.

A tale proposito il vescovo di Napoli invita la città a mettersi in ascolto soprattutto dei giovani, imparando il loro linguaggio, in vista del prossimo Sinodo: “Per incontrare i giovani, per porci in ascolto vero della loro vita, dobbiamo imparare a parlare la loro lingua. Insieme a loro, possiamo individuare i percorsi per riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla pienezza umana… E’ necessario che nella nostra comunità diocesana si avvii una riflessione appropriata sulla condizione di grave precarietà che caratterizza la transizione alla vita adulta, la costruzione dell’identità umana e lavorativa dei nostri giovani”. La lettera pastorale si conclude con l’affidamento a Maria, umile Madre di Dio, della Chiesa napoletana: “Ci renda capaci, Maria, di gesti ospitali. Vinca le nostre apprensioni e paure. Abbatta le nostre frontiere. Ci insegni ad essere attenti e disponibili nei confronti del pellegrino della porta accanto, di chi è senza tetto, di chi arriva da lontano, di chi è senza affetti e legami sociali. Ci induca a rispettarli e ad accoglierli nella nostra terra, nel nostro cuore, nella nostra civiltà. Stringa noi e loro nello stesso abbraccio di Madre”.