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Canada, i vescovi contro il governo: “Promuove l’eutanasia, non è in grado di dare cure”

Forte dichiarazione delle Conferenza Episcopale Canadese contro il governo che mantiene ferma la legge per l’eutanasia

Conferenza Episcopale Canadese | I membri della Conferenza Episcopale Canadese dopo una celebrazione eucaristica | Diocesi di Petersbourgh Conferenza Episcopale Canadese | I membri della Conferenza Episcopale Canadese dopo una celebrazione eucaristica | Diocesi di Petersbourgh

Un governo che non è stato capace di affrontare l’emergenza della pandemia può davvero pensare di estendere i termini dell’eutanasia? La domanda dei vescovi canadesi è un atto di accusa contro il governo del Canada, che continua nella sua strada di espandere le possibilità per i cittadini di ricorrere all’eutanasia. Ed è un fortissimo atto di accusa, pubblicato in un documento dello scorso 9 novembre e firmato dall’arcivescovo Peter Gagnon di Winnipeg, presidente della Conferenza Episcopale Canadese, a nome di tutti i vescovi.

Il testo entra anche in molti dettagli tecnici della legge. Per comprendere il tutto c’è bisogno di fare un passo indietro.

La legge sull’eutanasia – chiamata legge C-7 - è stata approvata nel 2016, e il governo canadese aveva al tempo promesso che ci sarebbe stata una revisione approfondita del testo prima dell’introduzione nella legislazione. Ma questo non è successo, mentre la nuova legge è stata introdotta per rispondere ad una decisione della Corte Superiore del Quebec del settembre 2019, che considerava come la stipulazione di una “morte ragionevolmente prevedibile fosse una violazione dei diritti umani”. Decisione cui il governo canadese non si è appellato.

Dal 2016 ad oggi, i vescovi si sono attivati in una fortissima campagna non solo per denunciare l’eutanasia, ma anche il fatto che il governo perseguisse una volontà politica, notando come un migliore sviluppo delle cure palliative potrebbe in realtà già ridurre la richiesta di porre fine alla propria vita.

La legge C-7 è stata ribattezzata anche MAiD, Medical Assistence in Dying (Assistenza Medica a Morire), e i vescovi hanno denunciato anche l’uso eufemistico del vocabolario, mentre il mancato appello alla decisione della corte del Quebec (il processo Truchon v. Attorney General of Canada) è visto con sconcerto, dato che espande il diritto a chiedere l’eutanasia anche se manca “la ragionevole previsione della morte naturale”, mentre denunciano che il governo ancora non ha revisionato legge.

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Il problema del crollo pratico di tutti i criteri per consentire l’eutanasia a parte la volontà del paziente è stato giustificato dal governo con una consultazione online, che i vescovi hanno denunciato essere “discutibile, parziale e affrettata”, anche perché lo stesso governo ha dichiarato di “aver ricevuto migliaia di risposte opposte al MAiD in generale”, sebbene “non è mai stato chiesto esplicitamente se i canadesi fossero d’accordo con l’eutanasia e il suicidio assistito nella forma del MAID”.

I vescovi, quindi, mettono in luce come anche l’Associazione Medica Mondiale abbia messo nero su bianco l’opposizione ad ogni tipo di eutanasia, mentre più di 70 organizzazioni canadesi per la disabilità hanno detto di essere “profondamente preoccupati” per via dell’espansione dei termini del MAID, e anche più di 50 organizzazioni religiose, che comprendono ebrei, musulmani e cristiani, hanno siglato insieme una lettera aperta a tutti i canadesi contro la legge dell’eutanasia.

Non solo: 900 medici in Canada hanno siglato una dichiarazione comune contro la legge, e 140 avvocati hanno siglato una lettera aperta al Parlamento contro il suicidio assistito, e persino il rapporto annuale dell’ufficio dell’Investigatore di Correzione ha chiesto al governo una moratoria sulla legge.

Non sono solo i vescovi a muoversi per contrastare il disegno di legge, dunque. Ma i vescovi vanno oltre. Ribadiscono la necessità di cure palliative. “L’esperienza pastorale dei vescovi – scrivono – ha dimostrato che i pazienti hanno più probabilità di chiedere l’eutanasia e il suicidio assistito quando la loro pena non è gestita in maniera opportuna da cure palliative di buona qualità, quando la loro dipendenza da altri per un supporto non è adeguatamente aiutata, quando sono socialmente marginalizzati”.

Eppure, denunciano, le cure palliative “non sono ancora totalmente disponibili e accessibili nella nostra nazione”, nonostante siano “la sola alternativa rispettosa, globale ed etica a quello che il governo sta cercando di affrontare attraverso la legalizzazione dell’eutanasia”.

Da qui l’accusa: la pandemia del COVID 19 ha “dolorosamente rivelato che la paura, lo stress e la disperazione non sono realtà poco comuni tra i nostri compatrioti e membri della famiglia che vivono in residenze per anziani”, in condizioni “orribili” secondo le Forze Armate Canadesi, e in una situazione “profondamente disturbante” secondo il primo ministro canadese.

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E dunque, “con questa realtà, come può il governo federale in buona coscienza espandere la possibilità per eutanasia e suicidio assistito quando la nostra nazione è ancora incapace di offrire cura umana base che rispetti la dignità dei vecchi e dei moribondi?”

L’altra domanda è: “Come faranno i canadesi che anche prima della pandemia affrontavano difficoltà nell’accesso alla copertura sanitaria avere l’assicurazione che il governo non userà il MAID con un approccio utilitarista, come una ragione per non investire in cure palliative né di migliorare il nostro sistema sanitario?”

Sono domande che bruciano, oggi. Perché ovunque si punta ad una legalizzazione dell’eutanasia. Ma è davvero quella una morte con dignità?