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Capo Verde, il Cardinale Gomes: “Il colonialismo non è finito”

Cardinle Alindo Gomes Furtado | Il Cardinale Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago di Capo Verde | blog Africa Top Success Cardinle Alindo Gomes Furtado | Il Cardinale Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago di Capo Verde | blog Africa Top Success

È il primo Paese ex coloniale ad aver firmato un accordo quadro con la Santa Sede. Eppure Capo Verde vive un nuovo tipo di colonialismo, che viene imposto dagli organismi internazionali e che disgrega la famiglia. Lo sottolinea il Cardinale Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago di Capo Verde, creato cardinale da Papa Francesco nel concistoro del 14 febbraio 2015.

Quanto si sente ancora l’impatto del colonialismo e quanto si sente la colonizzazione ideologica?

Il colonialismo una volta era di una nazione verso altre nazioni. Ma ora è diventato globale. Le ideologie vengono da tutte le parti, anche grazie ai social network, e le grandi potenze, i grandi centri di produzione culturale – anche a livello delle Nazioni Unite – cercano di imporre la propria ideologia.

E voi quanto sentite questa colonizzazione globale?

È forte, perché le nuove generazioni hanno una spirito molto aperto, e soprattutto non hanno solidità locale e culturale. E poi passano più tempo con amici e colleghi su internet che con gli amici personali e famigliari. Questa è una nostra sfida del nostro tempo, perché così si limita la capacità di comprendere.

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Quali sono i principali problemi della Chiesa di Capoverde e quali le principali opportunità?

Le sfide sono tante, ma mi preme ricordare soprattutto la questione della famiglia, che è molto poco strutturata. La rivoluzione sessuale nell’Occidente ha avuto un impatto molto forte tra noi. E poi c’è l’emigrazione, che divide le famiglie, e crea un problema anche a livello di rapporti famigliari.

Quali sono gli altri problemi?

C’è sicuramente un problema educativo. Come dicevo, le nuove generazioni, molto attaccate ai mezzi moderni di comunicazione, sono più legate ai rapporti virtuali che reali. Questo significa anche perdere la consapevolezza dell’appartenenza alla comunità cristiana. C’è molto individualismo: ognuno ha la sua fede e cerca di vivere secondo la propria convenienza personale. Questo è un problema di coerenza tra la fede e la pratica nella vita quotidiana.

Sorprende che ci siano questi problemi in Africa, che è comunque vista come il continente dove l’evangelizzazione è ancora forte…

Ma noi siamo un po’ a metà strada tra Africa e Occidente. I problemi della secolarizzazione arrivano subito da noi.

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Quattro anni fa ormai Capo Verde ha firmato un accordo quadro con la Santa Sede. Quanto sono migliorati i rapporti tra la Chiesa e Capoverde?

I rapporti erano già buoni, però noi vogliamo una sicurezza verso il futuro. Stiamo cercando di regolamentare la legge: c’è un accordo globale, però bisogna definire in concreto gli aspetti di come le cose possono funzionare. Per esempio, dal punto di vista dell’insegnamento morale e religioso nelle scuole: abbiamo cominciato a fare una esperienza nelle scuole cattoliche e stiamo cercando il modo di scegliere, di preparare, formare i professori, gli insegnanti per il futuro. Abbiamo cominciato il processo di dialogo con il governo, però non abbiamo ancora definito i criteri per la scelta. Dipende dalla Chiesa scegliere questi insegnanti, e allo Stato insieme alla Chiesa per formarli. Questo è un esempio di trattativa che è in corso.

Cosa può dare la Chiesa di Capo Verde alla Chiesa universale?

La gioia di vivere, di essere insieme, di celebrare la fede, la fratellanza, la condivisione con gli altri, la solidarietà che ci fa vedere che la vita è un grande dono di Dio e che la Chiesa ci raduna per celebrare insieme come fratelli e sorelle questa comunione che Gesù ci concede.