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Da Macerata a Loreto: l'incoraggiamento del Papa, le testimonianze

Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Un momento del Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Simone Baroncia
Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Un momento del Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Simone Baroncia
Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Un momento del Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Simone Baroncia
Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Un momento del Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Simone Baroncia
Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Un momento del Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Simone Baroncia
Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Un momento del Pellegrinaggio Macerata Loreto 2016 | Simone Baroncia

I 100.000 pellegrini del pellegrinaggio Macerata-Loreto non sono stati fermati dallo sverzo di pioggia, che li ha accolti nello stadio maceratese ed a tratti li ha accompagnati fino a Loreto, grazie anche all’incoraggiamento telefonico di papa Francesco, che li ha rincuorati dicendo che anche la pioggia è un atto di misericordia, invitandoli a pregare per lui: “Ma anche la pioggia è una grazia. Perché è brutta, ma è anche bella! Ha due cose. E’ brutta perché ci dà fastidio, ma è bella perché è come la figura della grazia di Dio che viene su di noi. Voi incominciate adesso a fare il cammino; cammino che durerà tutta la notte. Ma anche la vita è un cammino. Nessuno di noi sa quanto durerà la propria vita, ma è un cammino. E quando uno crede di vivere la propria vita senza camminare”.

Appena terminata la telefonata la pioggia è cessata e tra le nuvole si è scorto l’arcobaleno,  permettendo ai pellegrini di asciugare ombrellini e k-way, che sono serviti per l’ultimo tratto da Chiarino a Loreto. Dopo la telefonata i pellegrini non hanno ascoltato la testimonianza di padre Ibrahim, a cui all’ultimo momento è stato impedito di allontanarsi da Aleppo; hanno comunque potuto udire la testimonianza di alcuni detenuti del carcere ‘Due Palazzi’ di Padova, dove dal 1991 opera la cooperativa sociale ‘Giotto’, composta da reclusi che fanno diversi lavori, fra cui anche quello di pasticceri, accompagnati dai familiari.

In due lettere, un ergastolano e un condannato a 30 anni hanno raccontato come in carcere la loro vita sia cambiata in meglio. Uno, specialista in evasioni da penitenziari di mezza Europa, addirittura ha detto che incontrando amici cristiani lì ha perso pure la voglia di evadere, per chiedere un aiuto alla Madonna: “Siamo qui, quasi tutti per la prima volta, in questo particolare Anno della Misericordia. Ecco che per tutti noi essere qui presenti, proprio in questa circostanza, assume un valore del tutto particolare. Siamo qui con il cuore colmo di Gratitudine a ringraziare di tutti i Doni e di tutto il Bene che il Signore ha voluto e vuole a ciascuno di noi, così come siamo. Siamo venuti a chiedere alla Madonna di Loreto che ci aiuti a non dimenticare mai l’amore che Gesù ha per ciascuno di noi e che riusciamo ogni giorno a chiederGli: ‘Con umile certezza, che l’inizio di ogni giornata sia un sì al Signore che ci abbraccia e rende fertile il terreno del nostro cuore per il compiersi della Sua opera nel mondo, che è la vittoria sulla morte e sul male’. Abbiamo scelto di leggere due brevi pensieri di due detenuti che oggi non possono essere con noi: un ergastolano che avendo pochi giorni di permesso ed avendo la mamma che sta per morire usa questi permessi per starle vicino, ed un detenuto che non può ancora uscire in permesso”.

Il primo contributo letto è di un condannato all’ergastolo dal 1994: “Fino a qualche anno fa pensavo che ognuno bastasse a se stesso, e ritenevo che ognuno di noi fosse l'artefice del proprio destino. Anche una volta arrestato credevo, quindi, che a farmi ‘incontrare’ il carcere di Padova, e un Gruppetto di persone che lì dentro avevano avviato una serie di attività lavorative, fosse stato soltanto il caso. Una serie di circostanze. Nulla di più. Naturalmente pensavo anche che quelle persone così interessate a me e ai miei compagni detenuti, al punto da assumerci come normali lavoratori, nascondessero chissà quale trucco e tornaconto personale. Soltanto col passare degli anni, molti anni, ho iniziato a capire che il trucco si chiama Cristo e il tornaconto si chiama Amore. Ci sono voluti tempo e pazienza, ma soltanto il bene che ogni giorno mi veniva offerto, e che io preferivo respingere ed allontanare anziché abbracciare, ha fatto accadere in me quello che mai neppure lontanamente avrei ipotizzato: riconoscere Cristo. Accoglierlo. Lasciarmi abbracciare. Fidarmi. Ascoltarlo… Non sono entrato nella Cappella del carcere per una dozzina di anni.

Ero arrabbiato per la condanna, ero arrabbiato con Lui: Lui che non aveva fatto niente per aiutarmi nonostante le mie preghiere, le mie implorazioni, le mie suppliche… Pian piano ho iniziato a sentire di essere voluto bene, il bene che quelle persone mi volevano per davvero, e tutto ciò, più di qualsiasi altra cosa, ha fatto sì che il mio cuore iniziasse a schiudersi, permettendo di lasciar penetrare da quel piccolo varco uno spiraglio di luce… Una mattina a Messa ho improvvisamente sentito la necessità di confessarmi e di fare la Comunione. Ho pianto a dirotto, proprio con i singulti come piange un bambino. Finalmente avevo fatto pace anche con Cristo. Finalmente sentivo il Suo abbraccio, il Suo perdono”.

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La seconda testimonianza è arrivata da un evasore ‘incallito’ delle carceri europee per oltre 30 anni, che grazie ad un incontro rinuncia ad evadere e riscopre il significato della vita: “Anche al mio arrivo a Padova la prima cosa che ho fatto è stato studiare bene tutti i punti deboli del carcere per preparare la mia evasione. Quando ero quasi pronto (un piano perfetto) accade l’imprevisto: mi chiamano a lavorare al call center, e li succede qualcosa di strano. Il modo con cui mi hanno trattato e si trattavano, detenuti e non, mi ha colpito e incuriosito. Quasi senza rendermene conto ho abbandonato l’idea di evadere, attratto da un modo di guardarsi e volersi bene che così non avevo mai provato. Ero abituato al fatto che dell’altro non ti puoi mai fidare. E’ successo l’impossibile: ho iniziato veramente a lavorare a 65 anni.

La mia nuova vita è sintetizzata da una parolina molto semplice: amore. Non mi era mai capitato che qualcuno mi volesse bene così, senza nulla in cambio. Questo bell’imprevisto mi ha fermato e fatto capire meglio chi ero e come dovevo trattarmi, per che cosa valeva veramente la pena rischiare la mia vita. Un abbraccio gratuito e pieno di amore mi ha salvato. Questo è tutto ciò che ho da offrire, poco niente rispetto a tutto quello che ho ricevuto. Vi chiedo di pregare perché quello che è successo a me possa succedere a più persone nel mondo rinchiuse dentro le carceri”. Prima della concelebrazione eucaristica il vescovo della diocesi di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, ha dato il benvenuto ai pellegrini: “Questa notte i vostri passi racconteranno a tutta Italia che ogni uomo e unico, è prezioso”.

Nell’omelia il presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana, card. Edoardo Menichelli, ha ripreso la frase del papa (‘La misericordia ti fa sperimentare la libertà’): “Siamo sotto uno sguardo non di giudizio, ma di fiducia. Siamo sotto uno sguardo di misericordia, che non è sentimentale indulgenza, ma gaudio di novità… Dopo questa celebrazione eucaristica parte il pellegrinaggio, icona simbolica della vita, dell’andare verso… Passando per le oscurità, le incognite e le debolezze dell’umano. Il pellegrino cammina con speranza se libero da pesi e se nel suo zainetto (una volta si diceva il tascapane!) porta pane e acqua: il pane è Cristo Eucaristia, l’acqua è Cristo che, come a Sichem, disseta l’arsura del cuore della Samaritana, ridandole dignità e salvezza… Il pellegrinaggio è una ‘metafora’ della vita. I momenti di stanchezza si alternano a quelli di euforia, il passo svelto lascia spazio a quello rallentato, le discese, specie nelle nostre meravigliose colline marchigiane, si incastonano perfettamente con le salite. Infine, dopo il buio della notte ecco lo stupore dell’alba, che illumina nuovamente la speranza”.

Durante la notte le litanie lauretane e le testimonianze hanno accompagnato i pellegrini fino alla casa di Maria per riscoprire l’unicità della persona, come ha fatto Alejandra, 48 anni di Madrid, in cammino con due bastoncini nordic walking, che durante la notte ha raccontato del suo cancro incurabile e dei pochi mesi di vita che le erano stati diagnosticati. Ma più grande della malattia (un sarcoma sinoviale diagnosticato nel febbraio 2014 e varie metastasi) è stato l’incontro con don Julián Carrón, che davanti alla sua paura di morire le ha detto che lui sarebbe voluto andare con lei davanti a Dio, davanti al compimento della vita: “Carrón mi disse: Alejandra, qual è il problema? Tu vai al compimento della vita. Tu vai prima di noi, ci precedi, Io verrei con te, ora! Ero sotto shock, perché mai nessuno mi aveva parlato così. Era la prima volta che incontravo qualcuno che era la Resurrezione fatta carne... Oggi, 13 mesi dopo, ho fatto esperienza che di fronte a tutto posso dire: ‘Ma qual è il problema?’, perché sperimento la vicinanza di Dio attraverso mille fatti, che mai accadono per caso ma per la Sua provvidenza che Si prende cura di me ogni secondo, e mi fa stare a guardare quello che succede intorno a me. E ha cambiato la mia paura in una commozione di fronte a quello che succede”.

Eppoi Kent Staab, che vive con sua moglie a San Diego, in California, ha voluto partecipare al Pellegrinaggio perchè, luterano convertitosi al cattolicesimo, ha visto in questo cammino ‘faticoso e lento un piccolo passo di tanti sulla strada verso Cristo’.