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Gioacchino Rossini e la fede

Il 13 novembre 1868 moriva Gioacchino Rossini, un viaggio nelle sue composizioni sacre

Giocchino Rossini  |  | Wikimedia Commons Giocchino Rossini | | Wikimedia Commons

“Nel momento in cui il sipario si alzava per la quarta volta arrivò improvvisa la triste notizia: era giunta a termine la dolorosa agonia del maestro che coi suoi capolavori aveva tanto onorato il nostro teatro. Un velo di lutto si stese sulla sala”. Con queste lapidarie parole, Maurice Cristal, critico musicale della Revue contemporaine, descriveva il giungere della notizia nella sala dell'Opéra di Parigi della morte di Gioacchino Rossini; era il 13 novembre 1868 quando il compositore pesarese si spegneva nella sua villa di Passy, alle porte della capitale francese. 

Rossini, con i suoi intramontabili capolavori come Il barbiere di Siviglia, La cenerentola, La gazza ladra       - solo per citarne alcuni - rappresenta una delle stelle più luminose del panorama musicale dell’800. Di lui, tanto si è scritto; tantissimo si è rappresentato (e si continua a rappresentare) sui palcoscenici più importanti del mondo. Ma c’è un Rossini che non sempre viene ricordato dall’immaginario collettivo: è il compositore che nella fede in Dio trova spunto e motivo di composizione; è il musicista di musica sacra; è l’uomo che davanti alle inesplicabili domande sull’Infinito, cerca di riflettere e di dare magari delle possibili risposte per mezzo di note sul pentagramma. 

Il dialogo tra il compositore pesarese con la musica sacra e con la fede stessa, ha radici antiche. Oltre agli insegnamenti della Chiesa trasmessi dalla madre, Anna Guidarini, donna assai devota, vi è un importante episodio della giovinezza di Rossini: il piccolo Gioacchino ha soli dieci anni quando viene affascinato dalla musica sacra; avviene grazie alla biblioteca messa a disposizione da due sacerdoti, i fratelli Giuseppe e Luigi Malerbi, entrambi musicisti e animatori della vita artistica della cittadina di Lugo di Romagna, località nella quale la famiglia Rossini si era trasferita dall’originaria Pesaro. Tra i tanti volumi della biblioteca privata dei due canonici, ve ne sono alcuni davvero eccezionali per l’epoca: partiture di Bach, Gluck, Mozart e Haydn; grazie a questi libri, tutta l’Europa musicale era stata messa a disposizione del piccolo Gioacchino; grazie ai sacerdoti Malerbi, Rossini riusciva ad ampliare il suo sguardo ad altri orizzonti musicali. 

Ed è proprio durante questa permanenza a Lugo di Romagna e, successivamente, a Bologna (dove entra al Liceo Musicale nel 1806) che nascono le prime composizioni sacre. Fra queste, vi sono quattro Messe: quella di Milano; di Bologna (1808); di Ravenna (1808) e di Rimini (1809), la cui autenticità è però ancora incerta. Trascorrono gli anni, e il giovane musicista comincia il suo peregrinare per l’Italia: Napoli, chiesa di San Ferdinando; è il  24 marzo 1820 quando viene eseguita la sua Messa di Gloria, composizione sacra in nove movimenti, commissionata da un’arciconfraternita partenopea dedicata a San Luigi; comporrà, poi, una preghiera dal titolo Deh tu pietoso cielo (probabilmente 1820) e un Tantum ergo ( del 1824). 

Tappa fondamentale per il percorso musicale a carattere sacro è lo Stabat Mater: il Cigno di Pesaro, in questa grandiosa composizione, affronta uno dei temi che, da Jacopone da Todi in poi, era stato già sviscerato da diversi autori della tradizione letteraria e musicale cristiana: il dolore della Vergine Maria sotto la Croce. Travagliata storia quella della creazione dello Stabat Mater: fu un alto prelato madrileno, Manuel Fernandez Varela, a commissionare il lavoro a Rossini che, dopo essersi fermato alla parte del Quartetto, fece completare l’opera al compositore Giovanni Tadolini  (1789 - 1872), per poi - dieci anni dopo - rivisitarla di sua mano: il 7 gennaio 1842, l’opera veniva finalmente eseguita al Théâtre italien di Parigi; Rossini si presentava al pubblico mondiale, dopo tredici anni di assenza dal palcoscenico, con una composizione sacra. 

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Nel 1863, qualche anno prima della morte, nasce una curiosa Petite Messe Solennelle composta per un organico insolito, assai ridotto: due pianoforti, un harmonium e un coro di dodici persone; il numero è simbolico, ed Rossini stesso a rivelarlo in una dedica autografa, scritta in francese, posta come frontespizio dello spartito; questa, la traduzione:“Mi perdoni l'accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto La Cena, chi lo crederebbe! Fra i tuoi discepoli ce ne sono alcuni che prendono delle note false! Signore, rassicurati, prometto che non ci saranno Giuda alla mia Cena e che i miei canteranno giusto e con amore le tue lodi e questa piccola composizione che è, purtroppo, l'ultimo peccato mortale della mia vecchiaia”. 

Ma lo stesso spartito - questa volta, all’ultima pagina - contiene anche un laconico commiato al mondo da parte di Rossini:Buon Dio, eccola terminata questa umile piccola Messa. È musica benedetta [sacra] quella che ho appena fatto, o è solo della benedetta musica? Ero nato per l'opera buffa, lo sai bene! Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso”. La prima esecuzione della Petite Messe - ci sarà poi una riscrittura “per orchestra, coro e voci soliste” nel 1867 che lo stesso compositore non ascolterà mai - avviene  per pochi amici nel salotto della contessa Pillet-Will, il 14 marzo 1864. A fine esecuzione, Gioacchino Rossini - tra applausi e consensi - si alza dalla poltrona, non pronunciando parola; esce solitario e silenzioso dal palazzo della contessa. Era questa la sua ultima “uscita di scena”.