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Giovanni Battista Scalabrini, il santo dei migranti

Un colloquio con padre Vincenzo L. Ronchi, direttore dell’ufficio comunicazioni dei ‘Missionari Scalabriniani di San Carlo’

Giovanni Battista Scalabrini  |  | wikipedia Giovanni Battista Scalabrini | | wikipedia

Domani, domenica 9 ottobre il beato Giovanni Battista Scalabrini sarà proclamato santo: nato a Fino Mornasco, in provincia di Como nel 1839, è ancora oggi un dono per la Chiesa e l’umanità. Profondamente commosso dal dramma di tanti italiani costretti ad emigrare negli Stati Uniti e nell’America del Sud alla fine del 1800, non resta indifferente. Si documenta, sensibilizza la società e manda i suoi missionari e le sue missionarie nel mondo per aiutare e sostenere gli emigranti nei porti, sulle navi e all’arrivo nei nuovi Paesi. E’ considerato per questo un padre per tutti i migranti e i rifugiati.

A più di un secolo dalla sua morte, la sua eredità ancora porta frutto: presenti in 39 Paesi, sono migliaia i religiosi e i laici scalabriniani che seguono le sue orme e prestano servizio nelle parrocchie, nelle case per i migranti, nelle scuole, negli orfanotrofi, negli ospedali, negli organismi ecclesiali delle Conferenze Episcopali e delle diocesi, nei centri studi, nei porti e nelle frontiere di tutto il mondo, tanto che padre Leonir Chiarello, superiore generale dei ‘Missionari di San Carlo’, ha commentato: 

“Scalabrini è stato un vescovo che si è dedicato completamente al ministero nella diocesi, ma ha saputo anche guardare oltre, a chi era costretto a lasciare la propria terra. Ha dato una risposta concreta al fenomeno della migrazione, coinvolgendo la Chiesa, il Governo, la società e chiamando tutti ad una presa di coscienza. Ha combattuto quello che il Santo Padre chiama ‘la cultura dell’indifferenza e dello scarto’. Proclamandolo santo, papa Francesco ci invita ad avere il suo sguardo d’accoglienza e d’amore verso tutti”.

A padre Vincenzo L. Ronchi, direttore dell’ufficio comunicazioni dei ‘Missionari Scalabriniani di San Carlo’, abbiamo chiesto di raccontarci in quale modo la congregazione come si prepara a vivere la canonizzazione di mons. Scalabrini:”I missionari ‘Scalabriniani di San Carlo’ hanno vissuto l’annuncio della imminente canonizzazione del loro fondatore, il beato Giovanni Battista Scalabrini, come una conferma del loro carisma, e come una chiamata ad abbracciare nuovamente e condividere la loro vocazione al servizio dei migranti e rifugiati nel mondo. La nostra vocazione, come quella del nostro fondatore, nasce da una esperienza di compassione. 

Superando la tentazione dell’indifferenza, ci lasciamo ferire il cuore dalla sofferenza di tante donne e uomini costretti ad emigrare a causa di guerre, violenze, ingiustizie, disastri naturali e miseria. Per noi migrare è un diritto, ma non dovrebbe essere mai un dovere. Dopo la compassione viene per noi, come fu per il beato Scalabrini, la domanda: cosa posso fare io? La nostra risposta è farci migranti con i migranti, conoscerli, esprimere loro la nostra solidarietà, mostrare loro la vicinanza del Signore che ha detto che chi accoglie un forestiero accoglie Lui. E poi, ci facciamo voce dei senza voce, e parliamo dei migranti alla società, per svegliare le coscienze, creare la cultura dell’incontro, costruire un ‘noi sempre più grande’”.

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Quale era la sua spiritualità?

“Il beato Scalabrini fu un uomo di grande carità. L’amore divino, sperimentato e vissuto in una intensa vita di preghiera, diventava in lui amore per tutti. Si fece ‘tutto a tutti’, con il proposito di ‘incarnare’ oggi l’amore di Dio e la presenza del Signore tra gli ultimi della società. Il santo papa Giovanni Paolo II, al proclamare beato il vescovo e monsignore Giovanni Battista Scalabrini, il 9 novembre 1997, disse: ‘Profondamente innamorato di Dio e straordinariamente devoto dell’Eucaristia, egli seppe tradurre la contemplazione di Dio e del suo mistero in una intensa azione apostolica e missionaria, facendosi tutto a tutti per annunciare il Vangelo. Questa sua ardente passione per il Regno di Dio lo rese zelante nella catechesi, nelle attività pastorali e nell’azione caritativa specialmente verso i più bisognosi’. 

Papa Pio IX lo definì l’Apostolo del catechismo per l’impegno con cui promosse in tutte le parrocchie l’insegnamento metodico della dottrina della Chiesa sia ai fanciulli che agli adulti. Per il suo amore verso i poveri, e in particolar modo verso gli emigranti, si fece apostolo dei numerosi connazionali costretti ad espatriare, spesso in condizioni difficili e col concreto pericolo di perdere la fede: per essi fu padre e guida sicura. Possiamo dire che il beato Giovanni Battista Scalabrini visse intensamente il Mistero pasquale non attraverso il martirio, ma servendo Cristo povero e crocifisso nei tanti bisognosi e sofferenti che predilesse con cuore di autentico Pastore solidale con il proprio gregge”.

Per quale motivo fondò una congregazione missionaria?

“Scalabrini fu prolifico nel creare varie istituzioni che rispondessero ai bisogni urgenti dei suoi fedeli. Per esempio, l’opera pro sordomute, quella pro mondariso, varie società operaie, casse rurali, società di mutuo soccorso. E poi rispondendo ai bisogni dei migranti fondò la congregazione maschile dei missionari di San Carlo nel 1887, quella femminile nel 1895 e una associazione di laici che nei porti di imbarco e di arrivo e durante il viaggio assistesse i migranti e li proteggesse dall’azione di “agenti di immigrazione senza scrupoli, veri “mercanti di carne umana”. Questa associazione laica, creata nel 1889, cinque anni più tardi prese il nome di ‘Società San Raffaele’ (dal nome dell’arcangelo che fu compagno di viaggio al giovane Tobia)”.

Gli anni in cui Scalabrini visse furono anni di cambiamenti sociali, a cui anche i cattolici presero parte: perché fu attratto dall'impegno sociale?

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“I suoi furono gli anni dell’inizio della ‘rivoluzione industriale’ e di molti cambi nella struttura economica e politica della società. Furono gli anni in cui sorsero movimenti socialisti apertamente contrari alla chiesa. Per questo diceva Scalabrini: ‘Ai nostri giorni è quasi impossibile ricondurre la classe operaia alla Chiesa, se non manteniamo con essa una relazione continua fuori dalla Chiesa. Dobbiamo uscire dal tempio, se vogliamo esercitare un’azione salutare nel tempio’. Nella Lettera pastorale del 1892, intitolata ‘Il prete cattolico’, il vescovo Scalabrini scriveva: Il prete non è soltanto l’uomo della Chiesa, l’uomo di Dio; ma egli è l’uomo sociale per eccellenza”.

Perché il suo motto era humilitas?

“Humilitas era il motto della casa Borromeo. Avendo scelto San Carlo Borromeo come il patrono delle congregazioni missionarie da lui fondate, il motto ‘Humilitas’ divenne anche il motto dei suoi missionari e missionarie. L’umiltà fu anche la virtù che il fondatore chiedeva ai suoi missionari e missionarie per poter così creare un clima di dialogo con tutti: la società di arrivo dei migranti e la chiesa locale, in particolare il vescovo ordinario, e poi tutti gli uomini di buona volontà”.

Nel messaggio per la Giornata mondiale del rifugiato e del migrante papa Francesco ha chiesto di mettere al centro i 'vulnerabili', di cui mons. Scalabrini aveva prestato massima attenzione: in quale modo oggi la congregazione è erede di questa consegna?

I” tre istituti della famiglia scalabriniana (i missionari e le missionarie di San Carlo e le missionarie secolari scalabriniane, nate dal carisma Scalabriniano nel 1961 a Solothurn in Svizzera) si impegnano ad incarnare il carisma scalabriniano mettendo al centro i migranti che più acutamente soffrono il dramma della migrazione. In tanti anni di storia, hanno appreso dall’insegnamento del Fondatore e dall’esperienza in quale modo essere presenti tra i migranti. 

Si tratta di presenza e stile che si modificano a seconda della nazione in cui si trovano, delle direttive della Chiesa locale e delle necessità dei migranti che incontrano. Tuttavia, vi sono alcune caratteristiche che la pastorale scalabriniana ha maturato. Si tratta di una pastorale che esige una lettura interdisciplinare attualizzata dell’emigrazione; che si fonda su una lettura di fede delle migrazioni, che è ricavata dagli insegnamenti del fondatore, attuati con fedeltà creativa e che viene declinata lungo l’asse della memoria e della profezia. 

E’ una pastorale organica e integrale, che comprende l’impegno per la giustizia, il riconoscimento e la difesa della dignità e dei diritti dei migranti, che implica un’azione in comunione e a servizio della Chiesa locale e che consiste nell’annuncio che il Regno è in mezzo a noi e Cristo ne è la via; si realizza come prassi intercomunitaria che ricerca e propone percorsi di comunione e privilegia l’incontro con i migranti più al margine nel cammino. 

La nostra azione pastorale è molto attenta a valorizzare le iniziative che rendono i migranti capaci di ‘dare ragione della speranza’, di cui anche il migrare è espressione. Concretamente questo lo realizziamo nelle nostre missioni e parrocchie, case di accoglienza, scuole, ospedali, Centri di Assistenza Psicosociale (CAPS) Centri per l’accoglienza, la protezione e la promozione dei rifugiati e delle vittime della tratta, l’assistenza di migranti e rifugiati in zone di frontiera e l’apostolato del Mare, oggi chiamato Stella Maris. 

Ci impegniamo anche nella formazione delle comunità di accoglienza e della chiesa con i centri di studi, gli incontri giovanili e la presenza in vari organismi ecclesiali a livello diocesano, di conferenze nazionali dei vescovi e anche nel dicastero per il servizio allo sviluppo umano integrale, nel Vaticano”.