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Il terremoto in Siria nel racconto del segretario generale dei vescovi italiani

Alcune immagini della visita di monsignor Baturi in Siria |  | Arcidiocesi di Cagliari
Alcune immagini della visita di monsignor Baturi in Siria | | Arcidiocesi di Cagliari
Alcune immagini della visita di monsignor Baturi in Siria |  | Arcidiocesi di Cagliari
Alcune immagini della visita di monsignor Baturi in Siria | | Arcidiocesi di Cagliari

Nel messaggio di Pasqua il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Andrea Salvatore Baturi, arcivescovo di Cagliari, ha raccontato la visita compiuta nelle zone terremotate della Siria nello scorso marzo: “L’abbraccio alla piccola Hanin è tra i ricordi più cari che porto con me dalla recente visita in Siria. Hanin (che vuol dire ‘nostalgia’) è nata poche ore dopo la scossa che ha strappato la terra in Turchia e Siria e ucciso migliaia di persone. L’espressione della madre, ospitata nell’aula di una scuola, insieme ad altre centinaia di sfollati, fonde in modo indescrivibile la tristezza per la morte del marito e la gioia per la nascita della bambina. Nostalgia di vita, speranza di bene. Gli auguri che offriamo a un bambino appena nato vogliono dire che la sua vita è un bene, sperano che la vita sia un cammino di soddisfazione. E perché l’augurio corrisponda alla realtà, serve una promessa più grande di ogni possibile minaccia di male. Chi può promettere una vita felice e piena, più grande della morte stessa? E senza una promessa affidabile, dove trovare le energie per iniziare sempre di nuovo il percorso personale e la costruzione di una socialità più giusta?”

Partendo da questo messaggio gli abbiamo chiesto di raccontarci la situazione trovata in Siria: “Abbiamo visto tanta sofferenza, causata dalla guerra, dalle malattie, dalla crisi economica e adesso anche dal terremoto, le cui macerie si sommano alla distruzione provocata dal conflitto. Il nostro è stato un vero e proprio pellegrinaggio in un’umanità dolente, che ha toccato anche un’altra terra che vive una situazione drammatica: il Libano.

"In Siria abbiamo incontrato tanti volti che chiedono aiuto, chiedono la possibilità di un futuro bello, chiedono di non essere abbandonati e lasciati soli e che l’Occidente prenda le decisioni necessarie per poter provvedere alla loro vita. Con la nostra visita, abbiamo voluto manifestare la vicinanza fraterna della Chiesa in Italia e dire a tutte quelle persone ‘non siete sole, siamo con voi’. La nostra presenza è stata una carezza particolare per le comunità cristiane, numericamente sempre più piccole, che tuttavia continuano a rappresentare un vero e proprio punto di equilibrio sociale in tutto il Medio Oriente”.

Come vive la popolazione questa situazione?

“La popolazione siriana è provata da lunghissimi anni di una guerra sanguinosa che ha prodotto più di 500.000 vittime, tra le quali circa 26.000 bambini. A questa condizione di estremo disagio, che ha costretto tanti a fuggire, si è aggiunto ora il terremoto. Inoltre, non dimentichiamo che ad aggravare la situazione ci sono le sanzioni che bloccano le medicine, i pezzi di ricambio dei macchinari sanitari, le rimesse dei familiari che vivono all’estero”.

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Con quali opere è presente la Chiesa nella popolazione?

“La Chiesa in Italia è da anni accanto alla comunità locale, attraverso i progetti finanziati dall’8xmille, che continuano ad essere un segno di speranza soprattutto oggi, in un contesto drammatico. Si tratta di interventi educativi, di contrasto alla povertà, di accoglienza degli sfollati, di promozione sociale e, in questo frangente, anche di monitoraggio degli edifici per il reinserimento progressivo di quanti sono stati costretti ad abbandonare le case per il sisma. Tra le iniziative promosse c’è, ad esempio, l’iniziativa, denominata ‘Ospedali aperti’, gestita sul campo dalla Fondazione Avsi, che consente ai più poveri di accedere gratuitamente alle cure e al ricovero in tre strutture, due a Damasco e uno ad Aleppo, e in 5 dispensari. Di particolare rilevanza anche i programmi di formazione al lavoro e di istruzione portati avanti dall’Associazione Pro Terra Sancta (Ats), in collaborazione con la Custodia di Terra Santa, come quello denominato ‘Un nome ed un futuro’ per i bambini orfani ed abbandonati di Aleppo”.

Per quale motivo la Chiesa italiana ha promosso la Colletta nazionale?

“La colletta, che si è svolta in tutte le chiese italiane domenica 26 marzo, è stata il segno di una prossimità reale, attraverso la quale intrecciare al nostro cammino il destino dei nostri fratelli che stanno nel Medio Oriente, in Turchia, in Siria, in Libano. Questa dilatazione del cuore fa percepire nostri i Paesi degli altri, nostre le speranze altrui. In questo senso, è stata anche un’occasione per ripensare la nostra apertura al mondo in una comunione delle anime che si realizza in Cristo. La nostra iniziativa è stata, da un lato, il segno concreto della solidarietà e della partecipazione di tutta la Chiesa in Italia ai bisogni, materiali e spirituali, delle popolazioni terremotate, e dall’altro la modalità concreta per esprimere proprio quell’abbraccio che aiuta i nostri fratelli e sorelle a non sentirsi soli”.

 Quale accoglienza offrire a chi fugge da guerra e disastri naturali?

“Un’accoglienza fatta di incontri tra culture e popolazioni diverse. Dobbiamo lavorare per l’accoglienza e per l’integrazione, dando la possibilità a chi lascia la propria terra di inserirsi, in modo che sia un’opportunità di crescita per tutti. Nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato dello scorso anno, papa Francesco ricorda che ‘costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione’. La bussola resta quella dei quattro verbi indicati dal papa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.

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