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L'attesa di Papa Francesco in Giappone nel racconto di Padre Tosolini

Missionario e scrittore, racconta come cristiani e non cristiani attendono la visita

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Il Papa visiterà la Thailandia dal 20 al 23 novembre e il Giappone dal 23 al 26 novembre: ‘Proteggere ogni vita’ è il motto del viaggio nello stato nipponico con tappe a Hiroshima e Nagasaki, città devastate dalla bomba atomica.

Papa Francesco è atteso in Giappone per il pomeriggio di sabato 23 novembre. Arriverà da Bangkok, in Thailandia, prima tappa del suo 32° viaggio internazionale, e alloggerà nella nunziatura dove subito incontrerà i vescovi nipponici: “Ci aspettiamo dal Papa – ha spiegato l’arcivescovo di Nagasaki, Joseph Mitsuaki Takami, che è anche il presidente della Conferenza episcopale – un forte incoraggiamento a testimoniare la nostra fede in una società che ha tanti problemi riguardo alla vita: suicidi in aumento tra i giovani, aborti e poi la pena di morte che gode di un forte consenso popolare”.

L’ultimo giorno del suo viaggio Francesco lo dedicherà ai gesuiti, che hanno segnato in modo indelebile la storia del cristianesimo in queste terre. Thailandia e Giappone sono due Paesi in cui i cattolici sono minoranza. In ambo i casi intorno allo 0,5% della popolazione: meno di 400.000 in Thailandia dove i buddisti sono al 90% circa; 540.000 circa in Giappone dove la maggioranza della popolazione è di tradizione scintoista e buddista in un contesto sociale però fortemente secolarizzato.

Per comprendere l’attesa dei giapponesi per la visita di Papa Francesco abbiamo intervistato padre Tiziano Tosolini, in Giappone da oltre 20 anni e direttore del Centro Studi Asiatico a Osaka, ed autore del libro sulla storia di alcune conversioni al cattolicesimo:

“Il Giappone è un Paese la cui popolazione è quasi interamente shintoista (religione autoctona del Giappone) e buddhista. Il Cristianesimo, giunto in Giappone nel 1549 con san Francesco Saverio, può oggi contare su circa 400.000 di aderenti (0.1%). Il suo impatto a livello sociale e mediatico è quindi minimo. La maggioranza della popolazione giapponese lo ha intravisto in qualche rarissima apparizione sui canali televisivi giapponesi, anche se la gente rimane all’oscuro circa il suo ruolo di responsabile e di guida spirituale della Chiesa cattolica.

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La sua visita in Giappone è dunque interpretata come la visita di una persona illustre, ma di cui però poco si conosce.  Per i cristiani giapponesi, invece, la visita del papa in Giappone (la seconda, dopo quella effettuata da san Giovanni Paolo II nel 1981) rappresenta un prezioso supporto e incoraggiamento per la loro fede, oltre che un’importante occasione per dare visibilità alla loro presenza e testimonianza in seno alla società giapponese”.

Lo slogan del viaggio apostolico è: ‘Protect all life’. Quale significato assume per i giapponesi?

“Lo slogan ‘Proteggere ogni vita’ è una citazione tratta dalla ‘Preghiera cristiana con il creato’, inserita nelle pagine finali della Lettera Enciclica ‘Laudato Sì’. Ciascuno di noi, spiegano i vescovi giapponesi, è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e questa nostra terra è stata plasmata da Lui non ‘come un’orrida regione’, ma ‘perché fosse abitata’ (Isaia  45,18). Per proteggere ogni vita, si deve dunque rispettare non solo la dignità di ogni persona, ma anche quella del creato. Tuttavia, continuano i vescovi, questa nostra ‘casa comune’ soffre a causa dello sfruttamento sconsiderato dell’uomo, e i suoi gemiti si mischiano così alle grida dei poveri, degli ultimi e degli esclusi. Perciò, la chiesa giapponese si impegna in tutti i modi a proteggere ogni cosa creata, a rispondere ai vari problemi che affliggono l’uomo, ad annunciare il Vangelo della vita e a pregare per la pace nel mondo”.

Cosa significa essere cristiani in Giappone?

“Essere cristiani in Giappone significa aderire alle parole di Cristo e viverle con gioia nella quotidianità. Questa vocazione, che è simile per tutti i credenti, assume però in Giappone una rilevanza particolare in quanto la società giapponese non è cristiana. Questo porta i credenti giapponesi ad essere molto più consapevoli della loro fede (essi possono a ben ragione esclamare con Paolo: ‘So a chi ho creduto’), oltre che delle varie difficoltà che a volte incontrano nel testimoniarla ad altri. Difficoltà, queste, che nascono dal diverso codice morale e comunitario seguito dalla società giapponese”.

Come è sopravvissuta la fede cristiana alla persecuzione?

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“La fede cristiana è stata perseguitata in Giappone per oltre 250 anni (dal 1614 al 1873). Durante questi secoli la religione cristiana è sempre stata presentata come una ‘religione malvagia’ e migliaia di giapponesi sono stati uccisi o torturati per costringerli all’apostasia. Molti cristiani, cercando di sfuggire alla persecuzione, si sono allontanati dalle terre di origine per vivere in clandestinità, dando così origine a quel fenomeno conosciuto come i kakure kurishitan, (i ‘cristiani nascosti’) i quali, oltre che ad amministrare i sacramenti in stanze segrete o in abitazioni private, camuffarono i simboli cristiani seguendo i canoni dell’iconografia buddhista. Nel 1865, dopo la riapertura del Giappone al mondo occidentale, alcuni missionari francesi hanno scoperto presso una chiesa di Nagasaki i discendenti degli antichi cristiani. Erano più di 20.000.

Perché nel libro ha raccontato le esperienze di conversione?

“La conversione rimane, nella sua misteriosità, il vero miracolo che Dio continua ad operare nel cuore dell’uomo, un evento che proprio perché ha unicamente Dio come sorgente, non dipende dalla volontà, da principi o da ideologie umane. Leggere o ascoltare come altre persone siano state toccate dall’amore di Dio e abbiano iniziato a percepire la loro cultura, la loro tradizione, il loro rapporto con gli altri e con se stessi in maniera diversa, più precisa e più limpida, ci aiuta innanzitutto ad accostare queste narrazioni con stupore e meraviglia, con rispetto e riverenza per quanto esse hanno vissuto. Queste loro esperienze ci aiutano inoltre a scoprire come favorire altre conversioni, oltre che ad insegnarci come accompagnare queste persone nel loro cammino di maturazione cristiana”.

Su quali basi proseguire il dialogo interreligioso?

“Il dialogo interreligioso, di cui in Giappone l’unica promotrice è la Chiesa, deve continuare nella conoscenza e nell’incontro sincero con le varie espressioni religiose presenti nel Paese. Esso deve sforzarsi di cooperare assieme alle altre spiritualità per costruire un mondo e per stabilire un incontro con l’altro che siano più pacifici, più giusti, e più veri. Allo stesso tempo, la Chiesa deve rimanere fedele al suo mandato di annunciare il Vangelo, nella certezza che esso è quella risposta che l’uomo cerca per i suoi profondi interrogativi esistenziali e di fede”.