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La casula di Tommaso Becket con una frase in arabo è custodita a Fermo

Una reliquia preziosa dono del santo ad un vescovo fermano

Un dettaglio della casula  |  | La Voce delle Marche
Un dettaglio della casula | | La Voce delle Marche
La casula di Becket |  | La Voce delle Marche
La casula di Becket | | La Voce delle Marche

Per la cristianità medievale l’assassinio di san Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra dal 1162, è stato molto importante, perché finito nelle mire del re Enrico II, una volta sua mentore e amico, fu ucciso in Cattedrale dalle spade di quattro cavalieri sicari mentre recitava l’Ufficio divino, il 29 dicembre 1170. Il Papa Alessandro III lo canonizzò a tempo di record, tre anni dopo.

E sue spoglie divennero meta di pellegrini e l’eco di quel martirio, profezia dell’aggressione di Enrico VIII alla Chiesa cattolica tre secoli e mezzo dopo, ha attraversato tutta la letteratura fino a Thomas Stearns Eliot, che lo rese ‘famoso’ con il testo ‘Assassinio nella cattedrale’.

Però non tutti sanno che una reliquia del santo inglese è custodita nel museo diocesano di Fermo. Si tratta di una casula in seta celeste e ricamata in oro di quasi 900 anni di età ma in uno stato di conservazione sorprendente, che secondo una tradizione arrivò a Fermo perché donata da Becket a un vescovo fermano, Presbitero. Avevano studiato insieme a Bologna e la loro amicizia non era mai venuta meno. Un’altra tradizione narra che fu la madre di Becket a donare al vescovo fermano il paramento di suo figlio dopo l’omicidio.

‘La Voce delle Marche’, periodico dell’arcidiocesi di Fermo ricorda questa particolare storia. Gli esperti dell’Ufficio diocesano dei Beni Culturali spiegano che  “fino al 1925 questo paramento era conservato all’interno di una teca di legno, aperta per assecondare il desiderio del card. Merry Del Val. Il professor David Rice dell’Università di Londra, fece oggetto dei suoi profondi studi il cimelio”.

A fine luglio sul sagrato della cattedrale di Fermo Adolfo Leoni  ha proposto in forma teatrale ‘Thomas Becket - Un uomo, un martire, un santo’. É lui che ci spiega per quale motivo a Fermo è conservata la casula di Becket:  “Si trova a Fermo, nelle Marche, in una terra distante dall’Inghilterra, per una coincidenza non casuale.

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Il giovane Thomas, spinto dall’arcivescovo di Canterbury Teobaldo di Bec presso cui prestava servizio, s'era iscritto allo Studium di Bologna, dove si insegnava diritto canonico. Siamo intorno al 1145. E proprio a Bologna, tra i banchi della futura università, aveva conosciuto e stretto amicizia con Presbitero, il futuro vescovo di Fermo. Due tesi si contrappongono. La prima sostiene che sia stato Becket a donare la Casula all’amico vescovo; la seconda invece ritiene che sia stata sua madre Matilde, di origini saracene, ad inviare la Casula a Fermo dopo la morte per assassinio del figlio. Aggiungo che si tratta del più antico ricamo arabo: fu realizzato ad Almeria in Spagna e porta al centro una scritta in arabo ‘Nel nome di Allah il Misericordioso, il Compassionevole, il regno è ...di Allah....la più grande benedizione, perfetta salute e felicità al suo possessore...nell’anno 510 in Mariyya’”.

Come è stata scoperta che la casula appartenesse a Becket?

“Ci sono stati studi approfonditi. Il più importante è quello del professor David Storm Rice, docente all’Università di Londra.  Rice l’ha studiata a lungo. Nel 1959, in un articolo per la rivista ‘The Illustrated London News’ ha portato a conoscenza del mondo scientifico la trascrizione del testo arabo di cui dicevo prima, che si trova nella fascia sovrapposta al tessuto nella parte centrale. Debbo aggiungere che alcuni anni fa il manto è stato oggetto di un nuovo studio da parte del professor  Avinoam Shalem, storico dell’arte, che si è avvalso di un gruppo di esperti internazionali.

Il legame tra il Primate d'Inghilterra e il vescovo Presbitero risulta da due documenti, conservati nell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo. Entrambi confermano il legame tra Thomas Becket e il territorio fermano. Dal primo, che porta la data del 1296, si ricava la notizia di una chiesa fermana, in prossimità del mare, consacrata alla memoria del martire inglese. Tale edificio esiste ancora oggi anche se in condizioni molto precarie. L’altro documento, del 1686, firmato dal card. Giovanni Francesco Ginetti, fa esplicito riferimento alla presenza della Casula a Fermo. Nel 1925 il cardinale Merry del Val chiese che il manto fosse estratto dalla preziosa cassa di legno in cui era custodito. Dodici anni dopo fu esposta a Roma; nel 1951 a Parigi; nel 1961 a Barcellona. Nel 1973, nel corso di una mostra a Londra, la Tv inglese dedicò al manto di Becket un servizio molto approfondito”.

Da dove nasce il suo testo teatrale, andato in scena nelle scorse settimane?

“Nasce dal mio desiderio di capire un personaggio complesso che fu uomo fino in fondo (ebbe una moglie saracena e una figlia), che si convertì, che fu martirizzato per la sua missione, che fu proclamato santo”.

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Quest’anno ricorrono 850 anni dalla morte: quale è la sua attualità?

“Il santo non vola nell’aria, dolciastro. Il santo è un uomo con tutte le sue fragilità. Ma Becket ha sentito più forti le esigenze del cuore che lo hanno fatto aderire fino in fondo al Signore Dio”.