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La guerra senza fine nel Tigray, uno dei conflitti dimenticati nel cuore di Papa Francesco

Un colloquio con Padre Mussie Zerai

Vescovi dell'Etiopia in preghiera per la pace  |  | CBCE Vescovi dell'Etiopia in preghiera per la pace | | CBCE

Le guerre africane nella contemporaneità, l’epoca della globalizzazione del XXI secolo, sono definite ‘guerre nere’ a causa della loro enigmaticità: conflitti le cui radici sono difficili da capire. In Europa e sui media occidentali in genere sono rappresentate come brutali e selvagge, dal sapore esclusivamente etnico e perciò stesso arcaiche, quasi incomprensibili.

Si tratta in realtà di conflitti molto più moderni di ciò che si potrebbe pensare, legati alle condizioni socioeconomiche e ambientali delle terre in cui scoppiano, dove si mescolano registri culturali e umani diversi. Le guerre africane sono politiche tanto quanto quelle degli altri continenti, e sono frutto delle trasformazioni che il continente sta vivendo fin dal volgere del millennio.

Ad inizio novembre mons. Seyoum Fransua Noel, vicario apostolico di Hosanna e direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Etiopia, aveva lanciato un appello per la pace: “Sono profondamente addolorato per tutto quello che sta avvenendo nella regione del Tigray e nelle regioni accanto Amhara e Afar, anche se un in tutto il Paese si stanno registrando disordini da almeno un anno, ora degenerati in modo drammatico. Quando c’è un conflitto, le vittime sono i poveri, è necessario che ci sia un dialogo tra le parti per ristabilire un equilibrio sociale. La guerra è inutile, la gente sta soffrendo molto, occorre cercare la pace e la sicurezza”.

La situazione nel Corno d’Africa è drammatica: a un anno dallo scoppio della guerra in Tigray, il caos regna sovrano e la leadership del primo ministro Abyi sembra appesa a un filo. Gradualmente, l’area settentrionale dell’Etiopia, è sprofondata in una grave crisi umanitaria: migliaia di morti tra i militari dei due fronti e, soprattutto, tra la popolazione inerme; stragi, carneficine, stupri di massa, saccheggi e mutilazioni su innocenti; 5.200.000 abitanti (su circa 6.500.000) sono in stato di drammatica necessità alimentare mentre gli sfollati interni ammontano a 2.100.000 (a cui debbono aggiungersi gli oltre 60.000 fuggiti in Sudan).

 Le spese militari sono salite ad oltre £ 500.000.000 in un anno e si è registrata la fuga degli investitori. L’abbandono di terreni, pascoli e bestiame in tante zone colpite dalla guerra e le ricorrenti carestie, ha creato una situazione di povertà e, mentre la crescita economica dal 10-11% del tempo pre-conflitto è calata al 2% del 2021.

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Per comprendere meglio la situazione abbiamo chiesto al presidente dell’agenzia Habeshia, abba Mussie Zerai, di spiegarci la situazione nel Corno d’Africa: “Nel Corno d'Africa è in gioco l’egemonia regionale da una parte dall’altra ci sono forti interessi economici”.

Per quali motivi c’è la guerra nel Tigray?

“La guerra in Tigray è figlia di antiche e nuove rivalità tra le varie etnie che compongono l’Etiopia, in particolare con gli Amhara e gli Oromo. Unita alla sete di vendetta del regime Eritreo ha fatto sentire ai governanti del Tigray sotto minaccia. Ci sono stati forti tensioni politici prima che esplodesse la guerra che non hanno trovato Politici capaci di risolvere le questioni usando l’arte della politica”.

Papa Francesco ha fatto molti appelli per la pace, anche lo scorso novembre, troverà accoglienza?

“Per il bene del popolo etiope e di tutto il Corno d’Africa spero che l’appello del papa trovi cuori e orecchie attente per accoglierlo e fare passi necessari per costruire la pace”.

E’ in atto un genocidio?

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“Servirebbe una commissione internazionale indipendente per valutare tutti i massacri che ci sono stati per poter affermare se c’e stato un genocidio. Il fatto accertato che ci sono stati crimini di guerra molto efferati perpetrati a danno di civili, l’uso stesso della fame come arma da guerra è un crimine contro l’umanità. Le violenze sessuali usato come arma da guerra è un crimine di guerra abominio. Tutto questo su base etnica come gli arresti indiscriminati, su basi etnici che sta accadendo a tutto oggi nella capitale, sono crimini che si aggiunge ad altri crimini”.

Cosa possono fare l’ONU e l’Europa per stabilire la pace?

“ONU e UE devono ottenere un cessate fuoco duraturo, aprire i corridoi umanitari per raggiungere tutte le zone isolate da 5-6 mesi oltre 400.000 persone rischiano di morire di fame. Poi far sedere le parti in conflitto trovare una via di uscita pacifica che non distrugga il paese, che non si rischia di dare in pasto l’Etiopia ai Jehadisti, Alshabab, o altri gruppi terroristici. Il pericolo non è lontano”.